SENTENZA N. 90
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4, 6, 10, 20, comma 1, lettera b), 22, 37, comma 1, lettere a), c), numeri 1) e 2), e d), e 38 della legge della Regione Siciliana 6 agosto 2021, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16. Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica), e degli artt. 1, commi 1, lettere d), e), g) e h), e 2, lettere c) ed e), 2, comma 1, lettere a), b) e c), e 8, comma 1, lettere a), b) e d), della legge della Regione Siciliana 18 marzo 2022, n. 2 (Disposizioni in materia di edilizia), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati l’11-20 ottobre 2021 e 22 maggio 2022, depositati in cancelleria il 14 ottobre 2021 e il 23 maggio 2022, iscritti, rispettivamente, al n. 63 del registro ricorsi 2021 e al n. 33 del registro ricorsi 2022 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 46 dell’anno 2021 e n. 24 dell’anno 2022.
Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana nel giudizio promosso con il ricorso n. 33 del 2022;
udito nell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2023 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;
uditi l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giuseppa Mistretta per la Regione Siciliana;
deliberato nella camera di consiglio del 20 febbraio 2023.
Ritenuto in fatto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il primo dei ricorsi indicati in epigrafe (reg. ric. n. 63 del 2021) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 6, 10, 20, comma 1, lettera b), 22, 37, comma 1, lettere a), c), numeri 1) e 2), e d), e 38 della legge della Regione Siciliana 6 agosto 2021, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16. Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica), per come meglio specificato più avanti e in riferimento a plurimi parametri costituzionali e interposti.
1.1.− Il ricorrente premette che l’art. 10 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, ha modificato diverse disposizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», cui la legge siciliana oggetto d’impugnazione avrebbe inteso adeguare la normativa regionale, presentandosi tuttavia viziata nelle disposizioni censurate.
L’art. 14, comma 1, lettere n) e f), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, infatti, attribuisce alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, nonché di urbanistica: competenza che, tuttavia, deve esercitarsi nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e delle norme di grande riforma economico-sociale – tra le quali devono annoverarsi il codice dei beni culturali nonché «le norme statali in materia di governo del territorio recanti princìpi di grande riforma» – oltre che degli artt. 3 e 9 della Costituzione. Di competenza esclusiva statale sono, invece, le materie dell’ordinamento penale e dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettere l e m, Cost.).
Richiamando la giurisprudenza di questa Corte, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, con riguardo alla disciplina del governo del territorio, «sono princìpi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi», restando in capo alle Regioni la possibilità di «esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali». Ad ogni modo, «la funzione della salvaguardia ambientale/paesaggistica costituisce elemento fondamentale e prevalente della gestione del territorio».
1.2.− Ciò premesso, il ricorrente censura innanzitutto l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale sostituisce l’art. 3 della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380): costituzionalmente illegittimi sarebbero, in particolare, i commi 1, 2 e 7 del nuovo art. 3, per violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti.
La disposizione regionale amplierebbe l’elenco degli interventi di attività edilizia libera e di quelli sottoposti a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), per molti dei quali il d.P.R. n. 380 del 2001 richiede il permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) alternativa al permesso di costruire: il che presenterebbe «profili di particolare criticità rispetto alle esigenze di tutela culturale e paesaggistica».
1.2.1.− In particolare, il ricorrente censura l’art. 3, commi 1, lettere b), h), l), m), p), s), aa) e af), e 2, lettere g), h), i), l) e p), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 impugnato, in quanto consente l’esecuzione di taluni interventi edilizi, rispettivamente, senza titolo abilitativo o previa CILA. In tal modo, la Regione Siciliana avrebbe deciso di «liberalizzare interventi anche molto impattanti sul territorio, sottraendoli a ogni tipo di controllo» laddove essi sarebbero «classificabili come “nuova costruzione”, ossia trasformazioni edilizie e urbanistiche del territorio di cui alla lettera e) del comma 1 dell’art. 3 [t.u. edilizia], per le quali è richiesto come titolo edilizio il permesso di costruire (o la SCIA alternativa al permesso di costruire)».
Richiamando ampiamente la sentenza n. 282 del 2016 di questa Corte, il ricorrente rileva che il regime dei titoli abilitativi edilizi ha natura di principio fondamentale nella materia «governo del territorio» e che le previsioni dei legislatori regionali devono svilupparsi «secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo». Si tratterebbe di limiti valevoli anche per il legislatore siciliano, ai sensi dell’art. 14 dello statuto speciale.
1.2.2.− Tra gli interventi edilizi consentiti senza titolo abilitativo, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea la particolare criticità, rispetto alle esigenze di tutela culturale e paesaggistica, delle previsioni della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 che consentono: i) la realizzazione di rampe o di ascensori esterni volti alla eliminazione di barriere architettoniche, se realizzati su aree private non prospicienti vie e piazze pubbliche (art. 3, comma 1, lettera b), mentre l’art. 6, comma 1, lettera b), t.u. edilizia escluderebbe «proprio la realizzazione degli ascensori esterni o di altri manufatti in grado di alterare la sagoma dell’edificio»; ii) l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, al di fuori dei centri storici (art. 3, comma 1, lettera aa), mentre l’art. 6, comma 1, lettera e-quater), t.u. edilizia ha limitato tale possibilità ai soli pannelli solari e fotovoltaici a servizio degli edifici; iii) la realizzazione di piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell’edificio e appoggiate su battuti cementizi non strutturali (art. 3, comma 1, lettera af), mentre la normativa statale richiede il permesso di costruire, sottolineandosi, per un verso, che potrebbe trattarsi anche di «superfici di notevole estensione» e, per un altro, che sono manufatti che per le loro caratteristiche sono in grado di determinare «una significativa alterazione dello stato dei luoghi, nonché incidenza sulle matrici ambientali».
1.2.3.− Tra gli interventi edilizi soggetti a CILA, il ricorrente si sofferma particolarmente sulla previsione che consente, sempre a seguito della novella operata dall’art. 4 impugnato, la realizzazione di «sistemi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili a servizio degli edifici, da realizzare all’interno della zona A di cui al decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, che non comportino pregiudizio alla tutela del contesto storico, ambientale e naturale, in relazione alle linee guida impartite dall’Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana» (art. 3, comma 2, lettera p). Tale rinvio alle linee guida costituirebbe, tuttavia, «una vistosa deroga» agli artt. 21 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), che prevedono invece specifiche autorizzazioni per gli interventi che ricadono nei contesti tutelati; non sarebbe contemplato alcun intervento degli uffici preposti alla tutela, poiché il rispetto delle linee guida sarebbe autocertificato con la CILA; la valutazione di compatibilità sarebbe effettuata prendendo a parametro dette linee guida e non, invece, la «disciplina d’uso contenuta nei provvedimenti di vincolo e nel piano paesaggistico, come invece imposto dagli artt. 135, 140, 141-bis e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio», che sarebbero norme di grande riforma economico-sociale.
1.2.4.− Le disposizioni indicate, come modificate dall’impugnato art. 4, sarebbero altresì lesive dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e degli artt. 3, 9 e 97 Cost., in quanto implicherebbero un abbassamento del livello di tutela del paesaggio e sarebbero contrarie ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità.
Esse, infine, «liberalizzando interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, o subordinandone alcuni alla semplice CILA», determinerebbero una sostanziale depenalizzazione delle fattispecie di reato connesse alla realizzazione di tali interventi in assenza o in difformità del titolo edilizio, così invadendo la competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
1.2.5.− Il ricorrente reputa costituzionalmente illegittimo anche il comma 7 dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’impugnato art. 4, secondo il quale «[l]e disposizioni di cui al presente articolo prevalgono su quelle contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi vigenti, i quali, ove in contrasto, si conformano al contenuto delle disposizioni del presente articolo».
Il Presidente del Consiglio rileva che tale previsione – che peraltro è in contraddizione con il comma 1 del medesimo art. 3, il quale fa salve, oltre alle normative di settore, tra cui quella dettata dal codice dei beni culturali e del paesaggio, anche le prescrizioni degli strumenti urbanistici – sarebbe costituzionalmente illegittima sotto plurimi profili.
Innanzitutto, essa sarebbe in contrasto con norme di grande riforma economico-sociale dettate dal t.u. edilizia, espressive di limiti ex art. 14 dello statuto speciale: con gli artt. 6, comma 1, e 6-bis, comma 1, t.u. edilizia che subordinano l’attività edilizia, sia essa libera o soggetta a CILA, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, che dunque sono prevalenti; e con l’art. 27 t.u. edilizia, che regola la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, nonché le conseguenze dell’accertamento della violazione degli strumenti urbanistici e che sarebbe posta nel nulla dalla normativa censurata.
La norma regionale sarebbe altresì lesiva dell’autonomia riconosciuta ai comuni dagli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), e sesto comma, e 118 Cost., oltre che, come ricordato, in contrasto con i limiti di cui all’art. 14 dello statuto siciliano: ciò perché verrebbe soppiantata la funzione pianificatoria comunale in materia urbanistica. La giurisprudenza costituzionale, infatti, avrebbe già rilevato che le limitazioni delle funzioni degli enti locali devono essere necessarie, adeguate e correttamente bilanciate con altri interessi coinvolti (è richiamata la sentenza n. 119 del 2020).
La realizzabilità di una tale mole di interventi «di ingente impatto sul territorio» in deroga alla pianificazione urbanistica sarebbe in contrasto anche con «la norma di grande riforma economico-sociale costituita dal principio della pianificazione urbanistica, di cui all’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, in base al quale tutto il territorio comunale deve essere pianificato».
Ancora, la norma impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 14 dello statuto siciliano perché in violazione delle norme di grande riforma economico-sociale di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, ai sensi delle quali «il piano paesaggistico assume carattere necessariamente sovraordinato agli altri strumenti di pianificazione territoriale». In particolare, poiché il richiamato art. 145 prevede che il piano paesaggistico sia inderogabile da parte di ogni altro strumento di pianificazione, «la prevalenza della normativa regionale sugli strumenti urbanistici, adeguati al piano paesaggistico, può tradursi in una deroga a quest’ultimo». Del codice dei beni culturali e del paesaggio sarebbero violati anche gli «artt. 45 e seguenti», in quanto la norma impugnata non consente agli strumenti urbanistici di vietare gli interventi consentiti ex lege, così ponendosi in contrasto con il regime di tutela indiretta da detto codice previsto.
1.2.6.− Il ricorrente, a conclusione delle censure avverso l’impugnato art. 4, osserva che è irrilevante la circostanza che il nuovo art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 sia in parte analogo a quello espresso dal previgente testo del medesimo art. 3, essendo inapplicabile, per costante giurisprudenza costituzionale, l’istituto dell’acquiescenza nei giudizi in via di azione.
1.3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, poi, l’illegittimità costituzionale, per violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti, dell’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale sostituisce l’art. 5 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.
La disposizione regionale sarebbe solo in apparente attuazione dell’art. 10, comma 3, t.u. edilizia, poiché, al comma 1, lettera d), del richiamato art. 5, nel definire quali interventi, subordinati a permesso di costruire, rientrano tra le «opere di recupero volumetrico ai fini abitativi e per il contenimento del consumo di nuovo territorio», «sostanzialmente introduce a regime la legittimazione al recupero a fini abitativi ex post di sottotetti, pertinenze, verande, locali interrati etc.». Il legislatore regionale, osserva il ricorrente, ha contestualmente abrogato l’art. 18 della legge della Regione Siciliana 16 aprile 2003, n. 4 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2003) che consentiva siffatti interventi, così autorizzando oggi il recupero «generalizzato, senza alcun limite temporale e in deroga alla pianificazione urbanistica in qualunque tempo emanata, di qualsivoglia sottotetto, locale interrato etc., anche se realizzato, a rigore, addirittura dopo l’entrata in vigore della norma de qua»: il tutto ammesso sia nei centri storici, sia con riferimento a immobili regolarizzati attraverso sanatorie edilizie e SCIA in sanatoria, contrariamente a quanto previsto dal cosiddetto piano casa, per come esplicitato dall’intesa Stato-Regioni del 1° aprile 2009 sull’atto concernente misure per il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia.
Il ricorrente osserva, preliminarmente, che il legislatore nazionale – fuori dalle ipotesi di cui al piano casa (previsto dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133 e dal decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante «Semestre europeo − Prime disposizioni urgenti per l’economia», convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106) – non ha disciplinato il recupero abitativo di opere del genere, «che pur si pone come derogatorio al principio di ordinato sviluppo del territorio nel rispetto degli strumenti e degli standard urbanistici». La giurisprudenza costituzionale, al contempo, ha ritenuto costituzionalmente non illegittime analoghe norme regionali «a condizione che [siano] rispettati tutti i limiti fissati dal legislatore statale in tema di distanze, tutela del paesaggio, igiene e salubrità» (sentenza n. 208 del 2019): ne conseguirebbe, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, che sarebbero applicabili le indicazioni dettate dal legislatore statale in occasione del piano casa. Secondo questa Corte, aggiunge il ricorrente, i centri storici devono essere tutelati quali beni unitari, nella cooperazione tra Stato e Regioni (è citata la sentenza n. 130 del 2020).
Il legislatore regionale siciliano, invece, con la nuova formulazione del richiamato art. 5 consentirebbe: i) il recupero volumetrico a fini abitativi delle opere anzidette «senza alcun limite temporale, ossia “a regime”, comprese quelle realizzate su immobili regolarizzati a seguito di sanatoria» (comma 1, lettera d, numero 1); ii) «il recupero abitativo delle pertinenze, dei locali accessori, degli interrati e dei seminterrati e degli ammezzati “in deroga alle norme vigenti”» (comma 1, lettera d, numero 4), norme che invece nell’ambito del piano casa sono state mantenute ferme (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 217 del 2020); iii) «l’apertura di finestre, lucernari e terrazzi, opere in grado di modificare permanentemente lo sky line urbano, senza inquadrare tali interventi all’interno del piano paesaggistico, strumento di vertice deputato alla pianificazione territoriale e ciò anche nei centri storici (esclusi invece dalla normativa sul piano casa)» (comma 1, lettera d, numero 5). La normativa regionale, infine, dispone che il progetto di recupero ai fini abitativi «segue le prescrizioni tecniche in materia edilizia, contenute nei regolamenti vigenti, nonché le norme nazionali e regionali in materia di impianti tecnologici e di contenimento dei consumi energetici, fatte salve le deroghe di cui ai punti precedenti» (comma 1, lettera d, numero 6).
1.3.1− Ricostruita la cornice normativa, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che le disposizioni impugnate siano in contrasto, innanzitutto, con il principio fondamentale in materia di governo del territorio, che si imporrebbe anche alla potestà legislativa esclusiva della Regione Siciliana ex art. 14 dello statuto speciale, «secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale» (è richiamato, in particolare, l’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, recante «Legge urbanistica», che richiede il rispetto degli standard urbanistici).
Le norme regionali, consentendo il recupero a fini abitativi «senza alcun limite né oggettivo né temporale», sono destinate a «stravolgere gli standard legati al carico insediativo e alla densità abitativa», mentre «in nessun caso la disciplina del primo o del secondo piano casa – per sua natura di stretta interpretazione – consente alle Regioni di derogare ai c.d. standard urbanistici previsti dalla normativa statale, ma solamente, e solo temporaneamente, agli strumenti urbanistici».
La sentenza n. 217 del 2020 di questa Corte avrebbe affermato la necessità di rispettare i limiti fissati dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), sicché dovrebbe considerarsi «costituzionalmente illegittima una normativa regionale volta a introdurre deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica e agli standard urbanistici» di cui al richiamato d.m., a maggior ragione quando si tratti di deroghe stabili nel tempo.
La normativa regionale, poi, sarebbe altresì in violazione dell’art. 14 t.u. edilizia – che prevede che gli interventi in deroga alla pianificazione urbanistica dovrebbero essere assentiti, caso per caso, dal Consiglio comunale – e dell’intesa del 2009 sul piano casa – che vietava «premialità edilizie in caso di immobili abusivi oggetto di sanatoria».
1.3.2.− Il nuovo art. 5 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, nelle parti impugnate, sarebbe altresì in contrasto con il codice dei beni culturali, lì dove rimette al piano paesaggistico «la regolamentazione delle trasformazioni in grado di incidere sul paesaggio»: la normativa regionale, infatti, determinerebbe «un insieme parcellizzato di interventi non disciplinato a monte e perciò in grado di incidere massicciamente sul paesaggio urbano senza che possano prevedersi gli effetti finali complessivi delle singole trasformazioni assentite».
Non sarebbe sufficiente, per escludere l’illegittimità costituzionale della normativa regionale per contrasto con il principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica, la circostanza che le disposizioni impugnate non vi si sottraggano espressamente. Rileva il ricorrente che le leggi regionali che adottano una disciplina d’uso del territorio inevitabilmente hanno ricadute sulla tutela del paesaggio, in relazione al quale l’art. 135 cod. beni culturali impone, anche quale norma di grande riforma economico-sociale, l’obbligo di pianificazione dell’intero territorio regionale per mezzo dei piani paesaggistici: obbligo che sarebbe eluso se, come nel caso di specie, si disciplina il territorio con legge, non consentendo una valutazione del singolo contesto.
Il richiamato obbligo di pianificazione, si precisa, opera anche per il paesaggio non vincolato, che è peraltro oggetto di tutela da parte della Convenzione europea del paesaggio.
1.3.3.− La normativa regionale sarebbe altresì in contrasto con l’art. 9 Cost., in quanto comporterebbe un generale abbassamento del livello di tutela del paesaggio, che è invece valore primario e assoluto (è citata la sentenza n. 367 del 2007 di questa Corte).
1.3.4.− Le disposizioni ora in esame, infine, sarebbero altresì manifestamente irragionevoli e sproporzionate e in violazione del principio del buon andamento dell’amministrazione. Gli interventi in deroga, infatti, sarebbero ammessi – oltre che su edifici oggetto di sanatoria, in contrasto con la normativa statale sul piano casa – anche su «edifici di recentissima realizzazione o addirittura di futura edificazione, senza che possano venire in gioco, quindi, interessi pubblici rilevanti quali il contenimento dell’uso di suolo, l’efficientamento energetico, o la rigenerazione urbana, che stanno alla base della normativa di recupero dei sottotetti o dei piani interrati».
1.4.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, poi, l’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, interamente sostitutivo dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, di cui è censurato il solo comma 10, ritenuto in violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti.
1.4.1.− La norma regionale disciplinerebbe la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e la denuncia di inizio attività (DIA) in modo difforme, in particolare, dalla «clausola di salvaguardia a favore dei beni tutelati» di cui al codice dei beni culturali (art. 3, comma 1, lettera d, t.u. edilizia). Detta clausola, infatti, prevede che, per poter qualificare come ristrutturazione edilizia le demo-ricostruzioni o gli interventi di ripristino effettuati su beni vincolati o situati in aree vincolate, sia assicurato «il mantenimento contemporaneamente di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente»: in caso contrario, si sarebbe dinanzi a una nuova costruzione e sarebbe pertanto necessario il permesso di costruire. La norma regionale, invece, per taluni interventi di demo-ricostruzione o ricostruzione di immobili tutelati prevede la SCIA e non il permesso di costruire, con ciò violando l’art. 14 dello statuto speciale, gli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettere l), m) ed s), Cost., nonché le norme fondamentali di riforma economico-sociale di cui agli artt. 3 e 10 t.u. edilizia.
1.4.2.− La norma impugnata, inoltre, se pure richiama il rispetto della volumetria esistente, sottopone a SCIA, anziché a permesso di costruire, gli interventi di cui si è detto per il solo fatto che essi «si collochino sullo stesso lotto e sussistano motivi di sicurezza o di rispetto di distanze previste negli strumenti urbanistici vigenti». Sono, questi, requisiti introdotti dal legislatore regionale e diversi da quelli inderogabilmente dettati dal legislatore statale – nell’esercizio della competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che costituiscono norme di grande riforma economico-sociale – i quali «sono finalizzati direttamente alla tutela del patrimonio culturale e del paesaggio», anche ai sensi dell’art. 9 Cost. (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 309 del 2011 e n. 367 del 2007).
1.4.3.− L’individuazione di un titolo edilizio differente, effettuata dalla norma regionale, sarebbe altresì in violazione delle potestà legislative esclusive statali di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) ed l), Cost., in quanto inciderebbe sui livelli essenziali delle prestazioni e sulla individuazione delle fattispecie di reato.
1.5.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, che sostituisce l’art. 25, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, in quanto lo ritiene in violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti.
Con la novella legislativa, la Regione Siciliana consentirebbe «una sanatoria ex post, prima ristretta ai soli casi di vincolo paesaggistico istituito con dichiarazione di notevole interesse pubblico, anche per le aree vincolate paesaggisticamente ope legis, a far data dalla legge cosiddetta Galasso (legge n. 431 del 1985), per il solo fatto che sia stata presentata istanza di concessione edilizia prima dell’apposizione del vincolo, circostanza che diventa unica condizione legittimante». L’estensione, rileva il ricorrente, si evincerebbe sia dal rinvio all’art. 134, comma 1, lettere a) e b), cod. beni culturali, sia dal riferimento all’apposizione del vincolo (non più relativo, come invece accadeva con la previgente formulazione, ai solo beni paesaggistici individuati mediante dichiarazione di notevole interesse pubblico).
1.5.1.− La norma regionale sarebbe in contrasto con il divieto di sanatoria paesaggistica ex post stabilito, in particolare, dagli artt. 146 e 167 cod. beni culturali, i quali indicano i «ristrettissimi casi, di natura eccezionale» in cui detta sanatoria resta possibile.
Il legislatore siciliano, in tal modo, sarebbe intervenuto in senso contrario a tale divieto, «aumentando le ipotesi in cui consentire il giudizio di compatibilità paesaggistica “ora per allora” a tutte le aree c.d. Galasso», con ciò violando anche l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Quelle violate sarebbero norme di grande riforma economico-sociale, come questa Corte avrebbe già riconosciuto nella sentenza n. 238 del 2013.
1.5.2.− La norma impugnata violerebbe anche l’art. 9 Cost., in quanto comporterebbe un abbassamento del livello di tutela.
1.5.3.− A essere violata, poi, sarebbe anche la potestà legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la disposizione regionale inciderebbe sull’applicazione delle sanzioni penali di cui all’art. 181 cod. beni culturali.
1.5.4.− L’impugnato art. 20, comma 1, lettera b), sarebbe altresì in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché riaprirebbe irragionevolmente e in modo sproporzionato i termini della sanatoria dopo quarant’anni (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 73 del 2017).
1.6.− A essere impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri è anche l’art. 22 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, che reca modifiche all’art. 28 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, ritenuto costituzionalmente illegittimo per la violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti.
Secondo il ricorrente, con detta disposizione il legislatore regionale avrebbe introdotto «una sorta di silenzio assenso in materia di condono, sia pure mediato dal deposito di una perizia tecnica di parte»: trascorsi 90 giorni dal deposito di tale perizia attestante il possesso dei requisiti stabiliti per usufruire del condono, infatti, questa acquista efficacia di titolo abilitativo.
1.6.1.− La norma regionale sarebbe in violazione delle norme di grande riforma economico-sociale recate dalla normativa statale sul condono, quali gli artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), l’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) nonché l’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326: essa, infatti, prevede, «anziché un biennio, un termine molto più breve per la formazione del titolo e includ[e] nell’ambito applicativo della fattispecie anche gli immobili vincolati», in contrasto con i «capisaldi posti dal legislatore statale in tema di condono» (è richiamata la giurisprudenza amministrativa sul punto). Il ricorrente osserva, tra l’altro, che il titolo in sanatoria si potrebbe formare, in assenza della verifica comunale, anche laddove la perizia risulti errata e persino in presenza di immobili vincolati.
1.6.2.− La previsione regionale si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), il quale oggi prevede il rilascio, su richiesta dell’interessato, di un’attestazione sul decorso dei termini del procedimento e sull’accoglimento tacito della domanda: dal che la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
1.6.3.− Secondo il ricorrente, la disposizione regionale prefigurerebbe una sorta di «“condono minore”, nelle more del condono principale». Interventi abusivi che siano effettuati su un immobile già abusivo, infatti, «costituiscono a loro volta illeciti edilizi, che accedono all’illegittimità dell’opera principale, e non possono certamente essere sanati mediante la procedura» impugnata. Di qui, il contrasto con «i princìpi in tema di condono ripetutamente ribaditi dalla Corte costituzionale, nonché affermati dal Giudice penale» (è richiamata la sentenza n. 73 del 2017) e, dunque, con l’art. 14 dello statuto speciale. Sotto questo profilo, la norma sarebbe anche manifestamente irragionevole.
1.6.4.− La novellata disposizione impugnata, poi, contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto avrebbe una «evidente ricaduta anche sul piano dell’ordinamento penale», di esclusiva competenza statale.
1.7.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, altresì, l’art. 37, comma 1, lettere a), c), numeri 1) e 2), e d), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale apporta talune modifiche alla legge della Regione Siciliana 23 marzo 2010, n. 6 (Norme per il sostegno dell’attività edilizia e la riqualificazione del patrimonio edilizio), per la violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti.
Il ricorrente rileva che la lettera a), modificando l’art. 2, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, estende «l’operatività del c.d. piano casa anche agli edifici “condonati”, precedentemente esclusi»; la lettera d), sostituendo la lettera f) del comma 2 dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, abroga «il limite di applicazione agli “immobili oggetto di condono edilizio”; la lettera c), intervenendo sull’art. 6 della medesima legge regionale, sopprime il limite di 48 mesi per la presentazione delle istanze e la previsione in base alla quale i Comuni potevano motivatamente escludere o limitare l’applicabilità del piano casa.
1.7.1.− Le novelle di cui alle lettere a) e d) avrebbero «l’effetto dirompente di capovolgere il principio statale, posto alla base del c.d. piano casa, in base al quale gli abusi edilizi, benché oggetto di sanatoria, non sono mai computabili ai fini di ottenere premialità edilizie su quei volumi», come risulterebbe dall’intesa del 2009: il che, oltre che in contrasto con l’art. 14 dello statuto speciale, sarebbe anche contrario ai princìpi di proporzionalità e ragionevolezza.
Le disposizioni regionali, inoltre, determinerebbero «l’evidente incremento dell’edificazione anche in aree vincolate paesaggisticamente», in contrasto con l’art. 167, comma 4, cod. beni culturali, norma di grande riforma economico-sociale.
1.7.2.− In particolare, la novella di cui alla lettera c), numero 1), non solo convertirebbe in tempestive le istanze tardive già presentate, ma riaprirebbe «sine die i termini del piano casa siciliano consentendo la presentazione di nuove domande senza alcun limite temporale».
Il ricorrente sottolinea che questa Corte avrebbe già rilevato che la finalità del piano casa era quella di consentire interventi straordinari su edifici abitativi, ma per un periodo temporalmente limitato (sono citate le sentenze n. 217 e n. 70 del 2020): finalità del tutto «snaturata» dall’impugnata normativa regionale, in contrasto con quanto espressamente stabilito dall’intesa del 2009, che prevedeva un limite temporale di 18 mesi. Limite che era sì modificabile in senso ampliativo dalle singole regioni, ma secondo proporzionalità e ragionevolezza.
Il legislatore siciliano, invece, avrebbe stabilizzato «una normativa eccezionale e derogatoria alla pianificazione urbanistica», in contrasto con il carattere temporaneo del piano casa, che avrebbe natura di norma di grande riforma economico-sociale.
La sostanziale riapertura dei termini per presentare le istanze del piano casa, pertanto, avrebbe come effetto «quello di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi consentiti ex lege, al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale, scardinando così il principio fondamentale in materia di governo del territorio secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti solo nel quadro della pianificazione urbanistica». Di qui, anche la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto le trasformazioni sul territorio non sarebbero previste «sulla base di una valutazione riferita ai singoli contesti, bensì in base a un disegno generale e astratto operato una volta per tutte dalla legge».
1.7.3.− Con la lettera c), numero 2), il legislatore regionale ha disposto l’abrogazione dell’art. 6, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, così eliminando la possibilità per i comuni «di limitare gli effetti del piano casa sul proprio territorio, sulla base di motivazioni di carattere urbanistico, paesaggistico e ambientale».
Ciò sarebbe in contrasto, innanzitutto, con l’autonomia dei comuni, come già argomentato nell’impugnare la nuova formulazione dell’art. 3, comma 7, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, argomentazioni cui il ricorrente espressamente rinvia: verrebbe soppiantata la funzione pianificatoria comunale in materia urbanistica.
La disposta abrogazione sarebbe altresì irragionevole e sproporzionata, in quanto la norma abrogata «costituiva un punto di caduta necessario tra le opposte esigenze della riqualificazione abitativa e del principio di ordinato sviluppo del territorio di piena pertinenza dell’autorità comunale».
1.7.4.− L’art. 37, comma 1, lettere a), c) e d), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, secondo il ricorrente, sarebbe anche in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto violerebbe l’obbligo di pianificazione di tutto il territorio regionale derivante dalla Convenzione europea del paesaggio, attuata dall’art. 135 cod. beni culturali: e ciò benché il piano casa siciliano escluda la sua applicabilità agli immobili tutelati e ai centri storici.
1.8.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, impugna l’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021.
La disposizione impugnata prevede che «Al fine di contrastare l’emergenza Covid-19 per un periodo di due anni dalla entrata in vigore della presente legge, il limite di mq. 50 di cui all’articolo 20 della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4 e successive modificazioni non si applica per la chiusura di spazi interni ove questi costituiscano pertinenze di unità immobiliari in cui sono legittimamente insediate attività di ristorazione». La richiamata disposizione regionale della legge reg. Siciliana n. 4 del 2003 prevede, al comma 1, che «In deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni ne´ sono considerate aumento di superficie utile o di volume ne´ modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l’acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo»; il comma 3 rende applicabile tale ultima disposizione anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie; il comma 4 qualifica strutture precarie «tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione».
1.8.1.− La normativa regionale sarebbe innanzitutto «manifestamente arbitraria e irragionevole» poiché, pur dichiaratamente connessa all’emergenza pandemica, prevede un termine di applicazione biennale, mentre il termine finale dell’emergenza è fissato al 31 dicembre 2021; non è, per altro verso, previsto un termine oltre il quale procedere alla rimozione delle opere, sicché gli effetti della normativa sono «destinati a protrarsi molto più a lungo» rispetto all’emergenza pandemica.
1.8.2.− La disposizione impugnata sarebbe, poi, in contrasto anche con l’art. 14 dello statuto speciale, in quanto in violazione del «principio di ordinato sviluppo del territorio», posto che il t.u. edilizia considera nuova costruzione quelle opere «finalizzate alla formazione di spazi chiusi destinati alla permanenza di persone».
2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il secondo ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 33 del 2022), ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, lettere d), e), g) e h), e 2, lettere c) ed e); 2, comma 1, lettere a), b) e c); e 8, comma 1, lettere a), b) e d), della legge della Regione Siciliana 18 marzo 2022, n. 2 (Disposizioni in materia di edilizia), in riferimento a plurimi parametri costituzionali e interposti.
2.1.− Il ricorrente, ribadite premesse identiche a quelle di cui al ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, rileva, innanzitutto, che le disposizioni impugnate di cui all’art. 1, commi 1 e 2, recano modifiche all’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come novellato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021.
2.1.1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, in primo luogo, che l’art. 1, comma 1: i) alla lettera d), modifica l’art. 3, comma 1, lettera m), ampliando l’elenco degli interventi assentibili rispetto all’elencazione contenuta nel t.u. edilizia, «sopprimendo il riferimento ai “vasconi in terra battuta per usi irrigui”, ma lasciando incluse nell’ambito dell’attività edilizia libera “le cisterne e le opere connesse interrate”»; ii) alla lettera e), modifica l’art. 3, comma 1, lettera p), escludendo dall’attività edilizia libera la nuova costruzione di muri a secco con altezza massima di 1,50 metri, ma lasciando assoggettate a quel regime le opere di ricostruzione e ripristino di analoghi muri; iii) alla lettera g), modifica l’art. 3, comma 1, lettera aa), prevedendo che l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, al di fuori dei centri storici, possa realizzarsi senza titolo abilitativo quando non alteri la volumetria complessiva e l’aspetto esteriore degli edifici.
Quanto alla lettera h), essa sostituisce l’art. 3, comma 1, lettera af), inquadrando nell’attività edilizia libera «la collocazione di piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra, realizzate con materiali amovibili, di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell’edificio e comunque di volumetria non superiore a 90 mc. Secondo il ricorrente, sarebbero da annoverare tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, realizzabili con SCIA alternativa al permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), t.u. edilizia, «gli interventi pertinenziali che comportino la realizzazione di un volume non superiore al 20% del volume dell’edificio principale»: ciò, anche mercé un’interpretazione a contrario dell’art. 3, comma 1, lettera e.6), t.u. edilizia. Richiamando poi ampiamente la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di Napoli, sezione terza, 9 settembre 2020, n. 3730, la quale ha escluso che le piscine possano considerarsi pertinenze in senso urbanistico, dovendosi invece qualificare come nuove costruzioni, il Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta che «le modifiche apportate non consentono di ritenere superate le censure» formulate con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
2.1.2.− Con riferimento alle modifiche disposte con l’impugnato art. 1, comma 2, il ricorrente rileva che: i) la lettera c) modifica l’art. 3, comma 2, lettera i), escludendo dalle opere realizzabili con CILA «la nuova costruzione di muri a secco con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70», ma lasciando assoggettate a tale regime «le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70»; ii) la lettera e) sostituisce l’art. 3, comma 2, lettera p), sì espungendo il riferimento alle linee guida dell’Assessore regionale, ma mantenendo la realizzabilità dei sistemi ivi previsti mediante CILA, il che non consente di ritenere superate le censure proposte con il ricorso n. 63 del 2021; anzi, la nuova formulazione è altresì in contrasto con il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili», il quale «stabilisce un regime autorizzatorio speciale per la realizzazione di siffatti interventi».
2.1.3.− Concludendo sul punto, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che tutte le disposizioni censurate «ripropongono i medesimi vizi di illegittimità costituzionale già denunciati con l’impugnativa dell’articolo 4 della legge regionale n. 23 del 2021», risultando pertanto in violazione «dell’art. 14 dello Statuto della Regione Sicilia approvato con R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2; dell’art. 117, primo comma, Cost.; dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 21, 135, 140, 141-bis, 143, 145 e 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; dell’art. 117, secondo comma, lett. m) Cost; degli articoli 3, 9, 97 Cost.; per violazione delle norme di grande riforma economico-sociale contenute negli artt. 6, 6-bis e 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, e nell’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 (legge urbanistica)».
2.2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva, poi, che l’impugnato art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, modifica l’art. 5, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come novellato dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, già oggetto d’impugnazione con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
2.2.1.− Con l’indicata lettera a), il legislatore siciliano ha modificato l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 1): le modifiche, tuttavia, secondo il ricorrente «non consentono di ritenere superate» le censure di cui al ricorso n. 63 del 2021 «che pertanto si ripropongono».
La disposizione regionale, infatti, avrebbe effetti quantomeno sugli edifici esistenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016. Inoltre, il recupero ai fini abitativi ivi disciplinato rimane consentito per gli immobili oggetto di sanatorie edilizie.
Con la disposizione impugnata, il legislatore regionale avrebbe altresì inteso autorizzare, a far data dalla entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, «la presentazione delle domande per l’ottenimento del permesso di costruire in sanatoria, anche in relazione ad interventi, in origine abusivamente realizzati, che potrebbero beneficiare di una modifica della disciplina urbanistica ed edilizia in senso più favorevole medio tempore intervenuta»: il che sarebbe in contrasto con la cosiddetta doppia conformità di cui all’art. 36 t.u. edilizia.
Al riguardo, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama la sentenza n. 232 del 2017 di questa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 14, commi 1 e 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale e dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., proprio perché in contrasto con il principio della cosiddetta doppia conformità. Quale ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, il ricorrente rileva che, in relazione alla SCIA, manca ogni riferimento alla cosiddetta doppia conformità.
Il ricorrente, infine, rammenta come nella sentenza n. 24 del 2022 questa Corte abbia ribadito che l’intesa del 2009 in tema di piano casa, recepita dall’art. 5, comma 9, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, è norma fondamentale di riforma economico-sociale ed esclude che gli interventi ivi previsti possano riferirsi ad edifici abusivi, siti in centri storici o in aree di inedificabilità assoluta, con esclusione dei soli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, che presuppone la cosiddetta doppia conformità, a sua volta norma fondamentale di riforma economico-sociale.
2.2.2.− Con l’indicata lettera b), il legislatore siciliano ha modificato l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), consentendo il recupero abitativo di taluni locali, secondo la disciplina derogatoria di cui all’art. 5, comma 1, lettera d), numero 6), a condizione che gli stessi siano «esistenti alla data di entrata in vigore» della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, varrebbero le stesse considerazioni critiche relative alla impugnata lettera d), numero 1), sicché «le modifiche apportate non consentono di ritenere superati i relativi motivi di censura formulati» nel ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
2.2.3.− Con la lettera c), il legislatore siciliano ha modificato l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 5), sopprimendo le norme che consentivano «gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti, delle pertinenze e dei locali accessori, senza alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, anche mediante la previsione di apertura di finestre, lucernari e terrazzi esclusivamente per assicurare l’osservanza dei requisiti di aero-illuminazione, anche in aree sottoposte a vincoli»; tuttavia, secondo il ricorrente non vi è anche «una espressa esclusione della realizzabilità degli interventi de quibus nelle zone e agli immobili indicati nel periodo soppresso, e pertanto non esclude che la disposizione possa trovare un’indistinta e generalizzata applicazione anche in tali zone e con riferimento a tali immobili».
Conseguentemente, non sarebbero superati i motivi di censura già formulati nel ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, in riferimento all’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, e la disposizione regionale violerebbe «l’art. 14 dello Statuto siciliano; gli articoli 3, 9 e 97 Cost.; l’art. 117, primo comma, Cost., alla luce della legge n. 14 del 2006 di recepimento della Convenzione europea del paesaggio; l’art. 117, secondo comma, lettera s), di cui costituiscono parametri interposti gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e le norme di grande riforma economico sociale contenute negli artt. 36 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché quelle recate dall’art. 41-quinquies della legge 1150 del 1942, e dal d.l. n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, nonché dalla relativa intesa sul piano casa del 2009».
2.3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, impugna l’art. 8, comma 1, lettere a), b) e d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, che reca modifiche alla legge reg. Siciliana n. 6 del 2010.
2.3.1.− In particolare, l’indicata lettera a) sostituisce l’art. 2, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, già oggetto di sostituzione per opera dell’art. 37, comma 1, lettera a), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021. Con la disposizione regionale impugnata, osserva il ricorrente, «si escludono dall’ambito oggettivo di applicazione del “piano casa” gli immobili condonati».
Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva, tuttavia, che non è previsto «un termine in relazione al quale valutare “legittima la realizzazione degli edifici”», sicché la disposizione regionale «risulta presentare i medesimi profili di legittimità costituzionale già evidenziati con riferimento all’articolo 37 della legge regionale n. 23 del 2021, che pertanto si ripropongono, fatta eccezione per le considerazioni in ordine agli immobili condonati, ora specificamente esclusi dalla disposizione in commento»: ad essere violati sarebbero «l’art. 14 dello Statuto speciale, nonché gli articoli 3, 9 e 97, 117, primo comma – alla luce della legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio – 117, secondo comma lettera s), della Costituzione, di cui costituiscono norme interposte gli articoli 135, 146 e 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché le norme di grande riforma economico sociale costituite dall’articolo 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942, dall’articolo 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, e dall’articolo 11, comma 5, del decreto-legge n. 112 del 2008, e dalla relativa Intesa sul piano casa del 2009».
2.3.2.− L’indicata lettera b) sostituisce l’art. 6, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, fissando «al 30 giugno 2023 il termine per la presentazione delle domande di interventi rientranti nel c.d. piano casa, le quali possono avere ad oggetto immobili realizzati o per i quali il titolo abilitativo è stato rilasciato o si è formato prima della presentazione della domanda».
Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, nell’impianto originario della legge siciliana sul piano casa, detto termine era di ventiquattro mesi; successivamente, per opera dell’art. 11, comma 130, della legge della Regione Siciliana 9 maggio 2012, n. 26 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2012. Legge di stabilità regionale), era stato portato a quarantotto mesi; infine, con l’art. 37, lettera c), numero 1), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, tale termine era stato soppresso, inducendo all’impugnativa di cui al ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, per il contrasto con plurimi parametri costituzionali e interposti, tutti espressamente richiamati. La norma ora impugnata, che pure introduce un termine, «mantiene comunque la scelta di prolungare la durata del piano casa in modo arbitrario e irragionevole rispetto alla durata originaria», peraltro consentendo interventi anche su «immobili non ancora realizzati, ma soltanto assentiti con il rilascio del titolo edilizio; immobili per i quali non appaiono sussistere esigenze di riqualificazione edilizia o di efficientamento energetico».
Il ricorrente rileva che, come ha evidenziato anche la giurisprudenza di questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 217 e n. 70 del 2020), la finalità del piano casa era quella di consentire, per un periodo temporale limitato, interventi straordinari su edifici abitativi: finalità che «risulta fuorviata per effetto della novella in esame». Nell’intesa sul piano casa del 2009, infatti, era stato previsto un limite temporale pari a 18 mesi, rispetto al quale ai legislatori regionali era consentito intervenire in senso ampliativo, ma secondo proporzionalità e ragionevolezza.
Con l’impugnata norma regionale, invece, il legislatore siciliano accresce «enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi consentiti ex lege, al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale». Ne consegue che violando il principio della necessaria pianificazione urbanistica – espresso in particolare dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, «in base al quale tutto il territorio comunale deve essere pianificato, assicurando l’ordinato assetto del territorio, opportunamente suddiviso in zone», ai sensi del d.m. n. 1444 del 1968 – la norma impugnata è in contrasto con l’art. 14 dello statuto speciale. La norma statutaria sarebbe violata, poi, anche in ragione della violazione del principio di temporaneità del piano casa di cui all’intesa del 2009 e all’art. 11, comma 5, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, da considerarsi norma di grande riforma economico-sociale. Le ragioni di illegittimità costituzionale troverebbero riscontro, peraltro, anche nella recente giurisprudenza costituzionale e, in particolare, nella sentenza n. 24 del 2022.
Il ricorrente osserva, ancora, che tra le norme di grande riforma economico-sociale rientrano senz’altro anche gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, secondo i quali il piano paesaggistico è sovraordinato rispetto a tutti gli altri strumenti di pianificazione, i quali debbono adeguarsi e conformarsi a detto piano. A tal proposito, se è vero che il legislatore siciliano ha introdotto all’art. 11, comma 1, ultimo periodo, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, la previsione secondo cui sui beni tutelati dal codice dei beni culturali e del paesaggio sono consentiti solo interventi nei casi e nei limiti previsti dal piano paesaggistico, non possono tuttavia escludersi «del tutto i possibili pregiudizi che la trasformazione del territorio in deroga alla pianificazione urbanistica è in grado di arrecare alle esigenze di tutela del paesaggio».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, poiché la pianificazione paesaggistica è composta «in buona parte da disposizioni di direttiva, destinate a concretizzarsi in prescrizioni puntuali in sede di recepimento nell’ambito della pianificazione urbanistica», la normativa regionale censurata porrebbe sostanzialmente nel nulla il piano paesaggistico, in ragione della prevalenza della normativa regionale sul piano casa sugli strumenti urbanistici.
Il ricorrente lamenta altresì la violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost., poiché la normativa regionale impedirebbe una valutazione riferita ai singoli contesti territoriali, irragionevolmente assimilati tra loro, e una adeguata considerazione delle esigenze di tutela del paesaggio.
L’irragionevolezza della norma sarebbe particolarmente dimostrata dalla circostanza per cui essa consentirebbe l’applicazione del piano casa anche con riferimento a immobili non ancora costruiti, per i quali non può porsi «alcuna esigenza di riqualificazione edilizia o di efficientamento energetico».
2.3.3.− La lettera d), infine, sostituisce l’art. 11, comma 2, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, che era già stata modificata dall’art. 37, comma 1, lettera d), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, oggetto di impugnazione con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
Nel prendere atto che la norma regionale esclude dal campo di applicazione della norma modificata gli immobili oggetto di condono edilizio, il ricorrente richiama «le considerazioni svolte, in relazione al disposto di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), della L.R. in esame, che [intende] qui integralmente ribadite» e osserva che le modifiche apportate non consentono di ritenere superati gli ulteriori motivi di censura formulati nel ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
3.− Con atto depositato il 27 giugno 2022, la Regione Siciliana si è costituita in giudizio, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque non fondato.
3.1.− La difesa regionale preliminarmente rammenta che ambiguità, indeterminatezza e contraddittorietà del petitum costituiscono motivi di inammissibilità del ricorso, il quale, oltre a indicare norme oggetto e norme parametro, deve contenere «anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva». Ove poi, come nel caso di specie, a essere impugnata sia una legge di regione a statuto speciale, il ricorrente deve confrontarsi con le competenze legislative previste dallo statuto medesimo. Di qui, l’inammissibilità di una «mera motivazione fatta per relationem ad altro provvedimento»: nel ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, «il denunciato difetto di competenza della Regione, non risulta ancorato ad alcun ragionamento esplicativo o motivazionale che possa sorreggere l’impugnativa».
3.2.− Ciò eccepito preliminarmente, la resistente contesta il ricorso anche in relazione alle singole questioni di legittimità costituzionale proposte.
3.2.1.− Con riferimento all’impugnazione dell’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 2 del 2022, la Regione Siciliana osserva che, per un verso, le disposizioni ivi recate ripristinano il contenuto originario dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 e, per un altro, modificano le lettere aa) e af) «secondo le indicazioni concordate con il Ministero della Cultura».
I rilievi per relationem proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri avrebbero a oggetto «interventi di modeste dimensioni, che non comportano volumetria edilizia, non producono variazione del carico urbanistico e non alterano lo stato dei luoghi o l’aspetto esteriore degli edifici». La difesa regionale si sofferma, in particolare, sulla modifica dell’art. 3, comma 1, lettera af), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, per poi concludere che tutte le disposizioni impugnate avrebbero soltanto esemplificato «gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali».
Con riferimento all’impugnazione dell’art. 1, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, la difesa regionale ne eccepisce l’inammissibilità, in quanto mancherebbe del tutto di argomentazione «se non per un accenno, per relationem, ad altro ricorso ed altre disposizioni, non più esistenti nella loro formulazione letterale». Nel merito, ad ogni modo, si rileva che gli interventi edilizi in considerazione sarebbero da considerarsi minori e, comunque, non alteranti la volumetria complessiva, «fermo restando eventuali nulla osta della Sovrintendenza ai BB.CC. e AA. di cui al Codice dei beni culturali e del paesaggio».
3.2.2.− Quanto alla disposizione di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), secondo la difesa regionale l’intervento legislativo sarebbe chiaramente volto a consentire il recupero ai fini abitativi dei soli locali già esistenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.
La difesa della Regione Siciliana precisa, in particolare, che l’inciso «esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge e regolarmente realizzati» porrebbe unitariamente le condizioni legittimanti, sicché gli edifici devono «esistere ed essere stati regolarmente autorizzati, anche attraverso sanatorie edilizie rilasciate ai sensi dell’articolo 36 TUE, e non in violazione allo stesso». L’art. 36 t.u. edilizia, d’altra parte, consentirebbe sanatorie solo in caso di doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente tanto al momento della sua realizzazione quanto a quello della presentazione della domanda, di modo che il ricorso «appare di difficile comprensione logico-giuridica».
3.2.3.− La Regione Siciliana osserva che anche l’impugnazione dell’art. 2, comma 1, lettera b), sarebbe motivata solo per relationem, con riferimento a considerazioni critiche altrove svolte nel ricorso. Ad ogni modo, l’intervento legislativo avrebbe temporalmente circoscritto la possibilità di recupero a fini abitativi: pertanto, non sarebbero «comprensibili gli aspetti sui quali risulterebbero ancorati i profili di illegittimità sollevati».
3.2.4.− La difesa della Regione Siciliana perviene a «medesime conclusioni» per quel che riguarda l’impugnazione dell’art. 2, comma 1, lettera c).
3.2.5.− Con riferimento all’impugnazione dell’art. 8, comma 1, lettera a), che modifica l’art. 2, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, la resistente osserva che il termine cui fare riferimento per valutare la legittima realizzazione degli interventi del piano casa siciliano – termine che il ricorrente ritiene mancare – sarebbe quello previsto al comma 1 di tale art. 2 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, ovvero il 31 dicembre 2015.
3.2.6.− Per quel che concerne l’impugnazione dell’art. 8, comma 1, lettera b), la difesa regionale osserva che il Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe considerato, nel complesso, la normativa regionale in materia. Dall’esame di quest’ultima, si ricaverebbe, per un verso, che il termine per la realizzazione degli interventi è stato prorogato al 31 dicembre 2023 dall’art. 5, comma 1, della legge della Regione Siciliana 30 dicembre 2020, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia di personale e proroga di titoli edilizi. Disposizioni varie), e, per un altro, che gli interventi di ampliamento, demolizione o ricostruzione di cui al piano casa sarebbero possibili su immobili realizzati sulla base di un regolare titolo abitativo edilizio esistenti al 31 dicembre 2015 (art. 2, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010) o al 31 dicembre 2009 (art. 3, legge reg. Siciliana n. 6 del 2010). Il termine modificato dalla disposizione impugnata, peraltro già prorogato da diverse leggi regionali mai impugnate, sarebbe soltanto quello «per presentare le relative istanze» e non determinerebbe alcuna proroga del piano casa.
3.2.7.− La difesa della resistente rileva, poi, che nell’impugnare l’art. 8, comma 1, lettera d), il Presidente del Consiglio dei ministri richiama le doglianze espresse nei confronti dell’art. 2, comma 1, lettera a), di modo che «non possono […] che ribadirsi le medesime eccezioni di inammissibilità ed infondatezza».
3.2.8.− La Regione Siciliana, infine, reputa del tutto inconferente il richiamo all’art. 97 Cost., laddove il ricorrente lamenta la violazione delle norme di grande riforma economico-sociale di cui agli artt. 6 e 6-bis t.u. edilizia e dell’art. 41-quinquies della legge urbanistica, contestandosi «un presunto e non dimostrato vulnus della tutela del paesaggio, ricollegabile ad altri e diversi parametri costituzionali».
4.− In data 17 gennaio 2023, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria nel giudizio promosso con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, insistendo per il suo accoglimento.
4.1.− Il ricorrente, preliminarmente, sottolinea come il giudizio concernente il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021 abbia «rilievo pregiudiziale» rispetto a quello per cui presenta memoria, tanto che la declaratoria d’illegittimità costituzionale delle norme con esso impugnate renderebbe «prive di autonomo significato» quelle impugnate con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, che pertanto potrebbero essere dichiarate costituzionalmente illegittime anche in via conseguenziale ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).
4.2.− Ciò premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene «privo di pregio» il rilievo della difesa regionale circa l’inammissibilità del ricorso.
In quest’ultimo, infatti, si sarebbero prospettate «in maniera puntuale» le ragioni d’illegittimità costituzionale, ampiamente argomentate «nel solco delle contestazioni già rivolte avverso la legge regionale n. 23 del 2021», si sarebbero considerate le competenze statutarie regionali e, infine, si sarebbero indicati i parametri costituzionali violati.
4.3.− Nel merito, secondo il ricorrente gli argomenti offerti dalla difesa regionale non varrebbero a superare le censure proposte con il ricorso.
4.3.1.− Per quel che riguarda l’impugnazione dell’art. 1, comma 1, lettere d), e), g) e h), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, l’Avvocatura generale dello Stato insiste nel ritenere che si tratta di norme che – confermando la possibilità di eseguire senza titolo abilitativo interventi che, invece, la normativa statale non considera di edilizia libera – si pongono in contrasto con il d.P.R. n. 380 del 2011, che detta princìpi fondamentali della materia «governo del territorio» vincolanti anche il legislatore siciliano ai sensi dell’art. 14 dello statuto speciale.
Ciò varrebbe anche per le modifiche apportate all’art. 3, comma 1, lettere aa) e af), e comma 2, lettera p), sulle quali il ricorrente si sofferma particolarmente.
Il novellato «art. 3, lett. aa) della l.r. 16/2016 […] si riferisce indistintamente alla “installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili”», laddove l’art. 6, comma 1, lettera e-quater), t.u. edilizia considera interventi di edilizia libera solo l’installazione di «pannelli solari e fotovoltaici a servizio degli edifici». Nulla in senso opposto potrebbe ricavarsi dall’Allegato II al d.lgs. n. 199 del 2021, come sostenuto dalla Regione Siciliana, in quanto ivi si disciplinano «unicamente i “collettori solari termici”, cioè i pannelli solari collocati sui tetti degli edifici».
Per quel che concerne, poi, le piscine di cui al novellato art. 3, lettera af), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, sarebbe incontestabile che un volume pertinenziale nuovo, che può arrivare sino al 20 per cento del volume dell’edificio principale, «è annoverabile quanto meno tra gli interventi di ristrutturazione edilizia realizzabili con SCIA alternativa al permesso di costruire», ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), t.u. edilizia. Il riferimento operato dalla difesa regionale alle aree ludiche, ex art. 6, comma 1, lettera e-quinquies), t.u. edilizia non sarebbe peraltro pertinente, giacché nella legge regionale di aree ludiche si tratta in altra disposizione, diversa da quella che disciplina le piscine (lettera z).
La sostituzione dell’art. 3, comma 2, lettera p), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, operata dalla legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, infine, ha confermato la realizzabilità mediante CILA degli interventi ivi previsti: il che, disponendo un controllo, da parte degli uffici preposti, solo successivo alla realizzazione degli interventi, sarebbe in contrasto con gli artt. 21 e 146 cod. beni culturali, «che prevedono il rilascio di specifiche autorizzazioni preventive per gli interventi che ricadono nei contesti tutelati».
4.3.2.− Le norme regionali di cui all’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), che continuano a consentire il recupero volumetrico a fini abitativi di taluni locali, senza alcun limite temporale o di tipo oggettivo e persino su immobili abusivi in origine, anche se regolarizzati, derogherebbero agli standard urbanistici previsti dalla normativa statale, contrasterebbero con il principio che vieta che immobili abusivi sanati possano ottenere premialità edilizie e inciderebbero «massicciamente sul paesaggio urbano, anche in contesti tutelati, e al di fuori di una razionale pianificazione».
4.3.3.− Prive di fondamento, infine, sarebbero le difese regionali avverso l’impugnazione dell’art. 8, comma 1, lettere a), b) e d): o perché l’altro termine richiamato non legittimerebbe la novella impugnata, trattandosi di «profili differenti ed autonomi della stessa e complessa fattispecie» o perché la dichiarazione di illegittimità costituzionale avrebbe «effetto caducante automatico» sulle precedenti proroghe non oggetto d’impugnazione.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il primo dei ricorsi indicati in epigrafe (reg. ric. n. 63 del 2021) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 6, 10, 20, comma 1, lettera b), 22, 37, comma 1, lettere a), c), numeri 1) e 2), e d), e 38 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, deducendo la violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti. Con il secondo ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 33 del 2022), il medesimo ricorrente ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1, lettere d), e), g) e h), e 2, lettere c) ed e); 2, comma 1, lettere a), b) e c); e 8, comma 1, lettere a), b) e d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, deducendo nuovamente la violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti.
2.− Tutte le disposizioni impugnate con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022 recano modifiche ad alcune di quelle già impugnate con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
In ragione della conseguente connessione tra i giudizi, essi devono dunque essere riuniti e decisi con un’unica pronuncia.
3.− Preliminarmente, deve rilevarsi che la Regione Siciliana, costituitasi solo nel giudizio introdotto con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, ha eccepito l’ambiguità, l’indeterminatezza e la contraddittorietà del petitum nonché l’inammissibilità di una «mera motivazione fatta per relationem ad altro provvedimento». L’eccezione, genericamente prospettata e poi talora ribadita nelle difese relative alle singole disposizioni impugnate, deve essere tuttavia valutata in relazione a ciascuna delle questioni di legittimità costituzionale promosse.
4.− Ancora in via preliminare, deve rilevarsi che tutte le norme impugnate con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021 sono state modificate o abrogate dalla legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 e che anche alcune disposizioni di quest’ultima, impugnate con il ricorso n. 33 del 2022, sono state oggetto di successivi interventi del legislatore siciliano. Salvo che in un caso, di cui subito si dirà, non è tuttavia mai possibile addivenire alla dichiarazione di cessata materia del contendere: e ciò o perché le modifiche non sono satisfattive delle pretese avanzate dal ricorrente – il che talora emerge per tabulas, essendo state alcune modifiche a loro volta impugnate dinanzi a questa Corte – o perché non vi è certezza relativamente alla mancata applicazione medio tempore delle norme impugnate, vigenti per un arco temporale pari a circa otto mesi e, in larghissima parte, suscettibili di essere applicate immediatamente dopo la loro entrata in vigore. Non sembra infatti plausibile la deduzione svolta in udienza dalla difesa regionale, che ha assunto – senza peraltro fornire alcun idoneo supporto probatorio, se non una dichiarazione del competente ufficio regionale – che, in particolare, anche le disposizioni che consentivano interventi di edilizia libera non avevano trovato applicazione, essendo logicamente intuitivo che difficilmente gli uffici regionali avrebbero potuto avere contezza di tale circostanza.
5.− Come poc’anzi anticipato, può essere invece dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, in ragione delle modifiche ad esso apportate dall’art. 9, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022.
5.1.− La disposizione impugnata prevedeva che «[a]l fine di contrastare l’emergenza Covid-19 per un periodo di due anni dalla entrata in vigore della presente legge, il limite di mq. 50 di cui all’articolo 20 della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4 e successive modificazioni non si applica per la chiusura di spazi interni ove questi costituiscano pertinenze di unità immobiliari in cui sono legittimamente insediate attività di ristorazione». La richiamata disposizione della legge reg. n. 4 del 2003 prevede, al comma 1, che, «[i]n deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni ne´ sono considerate aumento di superficie utile o di volume ne´ modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l’acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo»; il comma 3 rende applicabile tale ultima disposizione anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie; il comma 4 qualifica strutture precarie «tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione».
Il Presidente del Consiglio dei ministri lamentava la manifesta arbitrarietà e irragionevolezza della disposizione impugnata in quanto, pur dichiaratamente connessa all’emergenza pandemica, prevedeva un termine di applicazione biennale, quando il termine finale dell’emergenza era fissato, alla data del deposito del ricorso, al 31 dicembre 2021; non era, inoltre, previsto un termine oltre il quale procedere alla rimozione delle opere, sicché gli effetti della normativa apparivano «destinati a protrarsi molto più a lungo», e in realtà a tempo indefinito, rispetto all’emergenza pandemica. In tal modo, la disposizione regionale si poneva in contrasto, secondo il ricorrente, anche con i limiti posti alla potestà legislativa regionale esclusiva in materia di urbanistica dall’art. 14 dello statuto speciale, in quanto lesiva del «principio di ordinato sviluppo del territorio» posto dal d.P.R. n. 380 del 2001.
5.2.− Le censure del Presidente del Consiglio dei ministri non concernono la deroga in sé all’art. 20 della legge reg. Siciliana n. 4 del 2003, ma l’assenza di un limite temporale ancorato all’emergenza pandemica e di un termine entro il quale rimuovere le opere.
Entrambi questi elementi sono stati introdotti dal legislatore siciliano con il richiamato art. 9, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, il quale ha modificato la disposizione impugnata prevedendo, per un verso, che la deroga a quanto disposto dalla legge reg. Siciliana n. 4 del 2003 valga «fino al termine dell’emergenza pandemica» e, per un altro, che entro novanta giorni dalla cessazione di detta emergenza si provveda alla rimozione delle opere e al ripristino dello stato dei luoghi. Deve dunque ritenersi che le modifiche operate sono satisfattive delle pretese del ricorrente.
Quanto all’applicazione medio tempore della disposizione impugnata, va rilevato che l’art. 1 del decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221 (Proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell’epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2022, n. 11, aveva prorogato lo stato di emergenza al 31 marzo 2022, sicché l’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 – modificato nei termini di cui si è detto a far data dal 9 aprile 2022, giorno della entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 – ha avuto sostanzialmente applicazione nel solo periodo dell’emergenza pandemica. Poiché, come detto, a essere censurata non era la previsione in sé, ma la circostanza che essa non fosse temporalmente delimitata al sussistere dello stato d’emergenza, il fatto che l’applicazione dell’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 sia avvenuta, sostanzialmente, fino al termine dell’emergenza pandemica consente quindi di dichiarare cessata la materia del contendere.
6.− Con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, innanzitutto, l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale novella l’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016. In particolare, oggetto delle questioni di legittimità costituzionale è il nuovo art. 3, commi 1, lettere b), h), l), m), p), s), aa) e af), e 2, lettere g), h), i) e l), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, i quali consentono l’esecuzione di taluni interventi edilizi, rispettivamente, senza titolo abilitativo o previa CILA. In tal modo, la Regione Siciliana avrebbe deciso di «liberalizzare interventi anche molto impattanti sul territorio, sottraendoli a ogni tipo di controllo»; gli stessi sarebbero invece «classificabili come “nuova costruzione”, ossia trasformazioni edilizie e urbanistiche del territorio di cui alla lettera e) del comma 1 dell’art. 3 t.u. edilizia, per le quali è richiesto come titolo edilizio il permesso di costruire (o la SCIA alternativa al permesso di costruire)». Di qui la paventata violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, in quanto le disposizioni impugnate sarebbero in contrasto con gli artt. 6 e 6-bis t.u. edilizia, qualificabili come norme fondamentali di riforma economico-sociale.
Le disposizioni impugnate sarebbero altresì lesive dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto implicherebbero un abbassamento del livello di tutela del paesaggio e sarebbero contrarie ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità. Esse, inoltre, determinerebbero una sostanziale depenalizzazione delle fattispecie di reato connesse alla realizzazione di tali interventi in assenza o in difformità del titolo edilizio, così invadendo la competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
6.1.− L’impugnazione dell’art. 1, comma 1, lettere d), e), g) e h), e comma 2, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, operata dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, è strettamente connessa alle censure di cui ora si è detto: con il richiamato art. 1, infatti, il legislatore siciliano ha apportato modifiche all’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come novellato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, e alcune di dette modifiche sono del pari denunciate come costituzionalmente illegittime.
6.2.− Le questioni ora in esame vertono tutte, come anticipato, su norme regionali siciliane che consentono che taluni interventi edilizi siano eseguiti senza titolo abilitativo o previa CILA, con ciò prevedendo un regime più favorevole rispetto a quanto stabilito dalla normativa statale. Occorre pertanto procedere a una ricognizione della disciplina statale, nei limiti di quanto rilevante per il presente giudizio.
6.2.1.− Il t.u. edilizia – dopo aver offerto all’art. 3 le definizioni degli interventi edilizi – all’art. 6 propone un elenco di quelli che possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo; all’art. 10 indica quali interventi sono subordinati al permesso di costruire; all’art. 22 stabilisce quali interventi sono assoggettati alla SCIA; all’art. 23 individua gli interventi che, in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante SCIA; all’art. 6-bis, infine, dispone che «gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22» sono realizzabili previa CILA.
Al contempo, l’art. 6, comma 6, prevede che le regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina concernente l’esecuzione di interventi senza alcun titolo abilitativo a «interventi edilizi ulteriori», salvo che non rientrino nelle ipotesi di cui all’art. 10 o all’art. 23. L’art. 6-bis, comma 4, similmente dispone che la disciplina concernente gli interventi edilizi realizzabili previa CILA può essere estesa dalle regioni a statuto ordinario a «interventi edilizi ulteriori».
Questa Corte ha da tempo rilevato che quella del t.u. edilizia è normativa espressiva dei princìpi fondamentali in materia di «governo del territorio» e che, quindi, «[l’]’attività demandata alla Regione si inserisce pur sempre nell’ambito derogatorio definito dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, attraverso la enucleazione di interventi tipici da sottrarre a permesso di costruire e SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Non è perciò pensabile che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei princìpi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire. Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo» (sentenza n. 139 del 2013). Ne consegue che «[i]l limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque, nella possibilità di estendere “i casi di attività edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma “ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6” (ancora sentenza n. 139 del 2013)» (sentenza n. 282 del 2016).
6.2.2.− L’art. 14, lettere f) e n), dello statuto speciale, d’altra parte, affida alla Regione Siciliana la potestà legislativa esclusiva nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio: essa, tuttavia, «deve essere esercitata “senza pregiudizio” delle riforme economico-sociali, che assurgono, dunque, a limite “esterno” della potestà legislativa primaria» (così, da ultimo, sentenza n. 252 del 2022).
Questa Corte ha già riconosciuto che le norme del t.u. edilizia concernenti i titoli abilitativi sono norme fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto di queste condividono «le caratteristiche salienti» che vanno individuate «nel contenuto riformatore e nell’attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza» (sentenza n. 24 del 2022). Esse, d’altro canto, «rispond[o]no complessivamente ad un interesse unitario ed esig[o]no, pertanto, un’attuazione su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 198 del 2018).
6.3.− Tutto ciò premesso, si può ora passare allo scrutinio delle questioni di legittimità costituzionale, dovendosi a tal fine valutare, di volta in volta, se la previsione regionale impugnata abbia coerentemente sviluppato le definizioni del t.u. edilizia, nell’ambito di quanto espressamente ammesso dagli artt. 6, comma 6, e 6-bis, comma 4, dello stesso t.u. edilizia, o se, invece, abbia illegittimamente inquadrato in un diverso regime giuridico il sotteso intervento edilizio (sentenza n. 68 del 2018).
6.4.− Lo scrutinio verrà dapprima condotto sulle disposizioni regionali impugnate che consentono la realizzazione di interventi edilizi senza titolo abilitativo.
6.4.1.− Nella descritta cornice normativa e giurisprudenziale, sono fondate, per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, le questioni aventi ad oggetto le modifiche apportate all’art. 3, comma 1, lettere b), h), l), m), p), e s), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016: come subito si vedrà, nessuna di queste disposizioni può dirsi coerente sviluppo della normativa statale, secondo quanto consentito dall’art. 6, comma 6, t.u. edilizia.
6.4.1.1.− Il nuovo art. 3, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso n. 63 del 2021, consente l’esecuzione senza titolo abilitativo degli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche, comprendendo tra questi anche «la realizzazione di ascensori esterni se realizzati su aree private non prospicienti vie e piazze pubbliche». L’art. 6, comma 1, lettera b), t.u. edilizia, invece, considera sì interventi di attività edilizia libera quelli volti ad eliminare le barriere architettoniche, ma sempre che «non comportino la realizzazione di ascensori esterni o di altri manufatti in grado di alterare la sagoma dell’edificio». Del resto, il profilo di illegittimità è stato rimosso dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, che ha sostituito il secondo periodo della disposizione impugnata con le parole «che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma degli edifici».
6.4.1.2.− Il nuovo art. 3, comma 1, lettera h), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso n. 63 del 2021, consente la realizzazione senza titolo abilitativo di strade poderali: si tratta di un intervento di trasformazione del territorio che non è logicamente assimilabile ad alcuno degli interventi edilizi dei quali l’art. 6 t.u. edilizia consente la realizzazione senza alcun titolo abilitativo, concretizzandosi dunque in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia libera. D’altra parte, l’art. 1, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, ha sostituito la censurata lettera h) con la seguente: «h) la manutenzione ordinaria di strade poderali».
6.4.1.3.− Il nuovo art. 3, comma 1, lettera l), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso n. 63 del 2021, considera attività edilizia libera «il risanamento e la sistemazione dei suoli agricoli anche se occorrono strutture murarie». Se è vero che l’art. 6, comma 1, lettera d), t.u. edilizia consente che siano eseguiti senza titolo abilitativo «i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari», deve rilevarsi che la norma impugnata non solo permette interventi sul territorio che hanno una portata ben più ampia di quella cui si riferisce la norma statale, ma espressamente consente anche l’esecuzione di strutture murarie. La disposizione impugnata, peraltro, è stata abrogata dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato.
6.4.1.4.− Il nuovo art. 3, comma 1, lettera m), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso n. 63 del 2021, permette che siano realizzate senza alcun titolo abilitativo «le cisterne e le opere connesse interrate, ivi compresi i vasconi in terra battuta per usi irrigui». Tale intervento di trasformazione del territorio, che può essere anche di non poco momento, non è logicamente assimilabile ad alcuno degli interventi edilizi dei quali l’art. 6 t.u. edilizia consente la realizzazione senza alcun titolo abilitativo, concretizzandosi dunque in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia libera.
Con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022 è stato impugnato l’art. 1, comma 1, lettera d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, il quale ha disposto, dal sopra citato art. 3, comma 1, lettera m), l’abrogazione delle parole «, ivi compresi i vasconi in terra battuta per usi irrigui». Le questioni di legittimità costituzionale promosse avverso tale ultima disposizione, tuttavia, sono inammissibili, in quanto l’«argomentazione consta di un mero rinvio per relationem» alle censure mosse con il ricorso n. 63 del 2021, senza una sia pur minima motivazione autonoma (sentenze n. 23 del 2022 e n. 123 del 2021).
6.4.1.5.− Il nuovo art. 3, comma 1, lettera p), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, consente siano realizzate senza titolo abilitativo «le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco e di nuova costruzione con altezza massima di 1,50 metri». La disposizione regionale contiene tre distinte norme, qualificando come attività edilizia libera: i) la ricostruzione di muri a secco; ii) il ripristino di muri a secco; iii) la nuova costruzione di muri a secco, in tutti i casi di altezza massima di 1,50 metri. Tutte e tre le norme, peraltro, consentono attività edilizie che non sono riconducibili ad alcuna delle ipotesi di cui all’art. 6 t.u. edilizia, anche in questo caso concretizzando ipotesi integralmente nuove di interventi realizzabili senza titolo abilitativo.
Con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022 è stato impugnato l’art. 1, comma 1, lettera e), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, che ha disposto l’abrogazione delle parole «e di nuova costruzione». Anche in questo caso, le relative questioni di legittimità costituzionale sono inammissibili perché argomentate esclusivamente per relationem al ricorso n. 63 del 2021.
6.4.1.6.− Il nuovo art. 3, comma 1, lettera s), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, considera attività edilizia libera «la realizzazione di opere interrate per lo smaltimento reflui provenienti da immobili destinati a civile abitazione compresa l’installazione di fosse tipo Imhoff o a tenuta, sistemi di fitodepurazione, per immobili privi di fognatura dinamica comunale». Anche in questo caso, l’intervento di trasformazione del territorio di cui alla disposizione regionale impugnata, che peraltro può essere anche particolarmente significativo, non è logicamente assimilabile ad alcun intervento edilizio la cui realizzazione è ammessa, ai sensi dell’art. 6 t.u. edilizia, senza titolo abilitativo, concretizzandosi dunque in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia libera. La disposizione impugnata, peraltro, è stata abrogata dall’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato.
6.4.1.7.− Alla luce delle svolte considerazioni, si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale:
− dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «, compresa la realizzazione di ascensori esterni se realizzati su aree private non prospicienti vie e piazze pubbliche»;
− dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera h), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016;
− dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera l), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016;
− dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera m), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016;
− dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera p), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016;
− dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera s), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.
Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti delle disposizioni in parola.
6.4.2.− Tra le questioni di legittimità costituzionale promosse avverso disposizioni regionali che prevedono ipotesi di interventi edilizi senza titolo abilitativo restano ora da esaminare quelle aventi a oggetto il nuovo art. 3, comma 1, lettere aa) e af), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, che per i profili che presentano meritano di essere partitamente scrutinate.
6.4.2.1.− Il nuovo art. 3, comma 1, lettera aa), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso n. 63 del 2021, considera attività edilizia libera «l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili ad esclusione della zona ZTO A, sia per i casi contemplati dall’articolo 1122 del codice civile, sia quando gli stessi contribuiscono alla formazione delle comunità energetiche ai sensi dell’articolo 42 bis del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 62, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8».
L’art. 1, comma 1, lettera g), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, impugnato con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, ha aggiunto le parole «purché non alterino la volumetria complessiva e l’aspetto esteriore degli edifici,» dopo la parola «rinnovabili»: le relative questioni di legittimità costituzionale, tuttavia, sono inammissibili, in quanto l’argomentazione consta di un mero rinvio per relationem alle censure mosse con il ricorso n. 63 del 2021, senza una sia pur minima motivazione autonoma.
La questione di legittimità costituzionale promossa, con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale non è fondata, nei termini che seguono.
Nel ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha sottolineato come l’art. 6, comma 1, lettera e-quater), t.u. edilizia consenta, al di fuori dei centri storici, l’installazione senza titolo abilitativo non di qualsivoglia impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili, ma soltanto di pannelli solari e fotovoltaici a servizio degli edifici.
La disposizione regionale, tuttavia, ben può essere interpretata, senza che vi osti la lettera o la ratio, nel senso che i soli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili realizzabili senza titolo abilitativo sono i pannelli solari e fotovoltaici, in linea con quanto previsto dalla normativa statale. Tale ricostruzione ermeneutica della disposizione impugnata, che dunque esclude il paventato vizio di legittimità costituzionale, è peraltro tanto più possibile ora che l’art. 1, comma 1, lettera g), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 ha precisato, come detto, che gli impianti in discorso non devono alterare «la volumetria complessiva e l’aspetto esteriore degli edifici».
La ritenuta circostanza che la disposizione impugnata, così interpretata, sia dunque frutto di un coerente e logico sviluppo della normativa statale da parte del legislatore siciliano rende del pari non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettere m) e l), Cost.
6.4.2.2.− Il nuovo art. 3, comma 1, lettera af), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, considera attività edilizia libera la realizzazione di «piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell’edificio e appoggiate su battuti cementizi non strutturali».
L’art. 1, comma 1, lettera h), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, impugnato con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, ne ha disposto l’abrogazione per sostituzione; la nuova lettera af), infatti, consente, senza titolo abilitativo, la «collocazione di piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra, realizzate con materiali amovibili, di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell’edificio e comunque di volumetria non superiore a 90 mc».
Nel ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto che, per un verso, potrebbe trattarsi anche di «superfici di notevole estensione» e, per un altro, che sono manufatti che per le loro caratteristiche sono in grado di determinare «una significativa alterazione dello stato dei luoghi, nonché incidenza sulle matrici ambientali». Nel ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, il ricorrente, richiamando ampiamente la sentenza del TAR Campania, n. 3730 del 2020, esclude che le piscine possano considerarsi pertinenze in senso urbanistico, dovendo invece essere qualificate come nuove costruzioni.
Le questioni promosse in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, aventi per oggetto entrambe le disposizioni regionali, sono fondate.
L’art. 6, comma 1, lettera e-quinquies), t.u. edilizia considera eseguibili senza titolo abilitativo gli interventi che realizzino «aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici»: entrambe le disposizioni regionali, tuttavia, non sono coerente sviluppo della normativa statale.
Vero è che la giurisprudenza amministrativa ha talora sussunto nella fattispecie di cui all’art. 6, comma 1, lettera e-quinquies), t.u. edilizia la collocazione di piscine di modeste dimensioni, fuori terra, facilmente smontabili e rimontabili, prefabbricate e non ancorate a terra, che non comportino una trasformazione duratura dei luoghi, in ragione della intrinseca precarietà ed amovibilità del manufatto (così, ad esempio, TAR Lazio, sezione seconda quater, sentenza 21 novembre 2018, n. 11302). Tuttavia, neppure assumendo a parametro di riferimento detta giurisprudenza potrebbe considerarsi la normativa regionale sviluppo coerente di quella statale.
Le piscine cui si riferisce la disposizione impugnata con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, infatti, sono di dimensioni potenzialmente significative, essendo parametrate al volume dell’edificio cui le si vuole considerare pertinenti. Esse, inoltre, sono appoggiate su (appositi e non necessariamente preesistenti) battuti cementizi che, per quanto il legislatore regionale stabilisca non possano essere strutturali, determinano certamente una significativa e duratura incidenza in senso trasformativo sul territorio.
Le modifiche operate con la disposizione impugnata con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022 non valgono a far venire meno le ragioni di illegittimità costituzionale. Anche con la nuova formulazione, infatti, possono essere liberamente realizzate piscine di dimensioni tutt’altro che modeste, avendo il legislatore regionale previsto che esse – fermo restando il limite del 20 per cento del volume dell’edificio – possano essere pari a 90 mc: il dato dimensionale e l’impatto visivo, che hanno potenzialmente una significativa incidenza sull’assetto dei luoghi, escludono che piscine siffatte, per quanto prefabbricate e amovibili, possano essere realizzate senza titolo abilitativo.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale tanto dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera af), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, quanto dell’art. 1, comma 1, lettera h), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti di entrambe le disposizioni.
6.5.− Può ora passarsi all’esame delle questioni di legittimità costituzionale promosse avverso quelle disposizioni regionali siciliane che consentono la realizzazione di interventi edilizi previa CILA.
Come si è in precedenza rilevato, l’art. 6-bis t.u. edilizia non reca gli interventi realizzabili previa CILA, ma dispone che sono sottoposti a tale regime giuridico «gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22»: ovverosia, gli interventi che non possono essere annoverati tra quelli realizzabili, rispettivamente, senza titolo abilitativo, con permesso di costruire o con SCIA. Ne consegue che, per valutare se il legislatore siciliano abbia coerentemente e logicamente sviluppato la normativa statale, secondo quanto previsto dall’art. 6-bis, comma 4, t.u. edilizia, o se, invece, abbia illegittimamente inquadrato nel regime giuridico della CILA interventi edilizi per i quali il legislatore statale ha previsto un diverso titolo abilitativo, sarà previamente indispensabile escludere, di volta in volta, che l’intervento edilizio cui si riferisce la norma regionale impugnata sia sussumibile in una delle ipotesi per cui il legislatore statale ha previsto che sia necessario il permesso di costruire o la SCIA.
6.5.1.− Il nuovo art. 3, comma 2, lettera g), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso n. 63 del 2021, sottopone al regime giuridico della CILA «la realizzazione di strade interpoderali». L’art. 1, comma 2, lettera a), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, ha sostituito la censurata lettera g) con la seguente: «g) la manutenzione ordinaria di strade interpoderali».
La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata.
La realizzazione di strade determina una trasformazione urbanistica del territorio non riconducibile a interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di restauro o risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia quali sono quelli di cui all’art. 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), t.u. edilizia, sicché ai sensi della successiva lettera e) quello in esame deve considerarsi intervento di nuova costruzione, in quanto tale subordinato a permesso di costruire ex art. 6 t.u. edilizia. Si deve escludere, dunque, che la disposizione regionale impugnata sia logico e coerente sviluppo della normativa statale, concretizzandosi invece in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia sottoposta a CILA.
Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera g), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti della medesima disposizione.
6.5.2.− Il nuovo art. 3, comma 2, lettera h), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, prescrive che, previa CILA, si può procedere alla «nuova realizzazione di opere murarie di recinzione con altezza massima di m. 2,00; per altezze superiori trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 10». Il rinvio all’art. 10 della medesima legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 fa sì che la nuova realizzazione di opere murarie di altezza superiore ai due metri sia sottoposta al regime giuridico della SCIA.
L’art. 1, comma 2, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, ha disposto l’abrogazione della disposizione impugnata.
La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata, con assorbimento delle ulteriori censure.
La nuova realizzazione di opere murarie indubbiamente determina una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio che non è riconducibile ad alcuno degli interventi di cui all’art. 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), t.u. edilizia, sicché ai sensi della successiva lettera e) deve considerarsi intervento di nuova costruzione, in quanto tale subordinato a permesso di costruire ex art. 6 t.u. edilizia. Si deve escludere, dunque, che la disposizione regionale impugnata sia coerente sviluppo della normativa statale, concretizzandosi invece in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia sottoposta a CILA.
Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera h), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.
6.5.3.− Il nuovo art. 3, comma 2, lettera i), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, dispone che possono essere liberamente realizzate, purché precedute da CILA, «le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco e di nuova costruzione con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70».
L’art. 1, comma 2, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, impugnato con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, ha disposto l’abrogazione delle parole «e di nuova costruzione». Le questioni di legittimità costituzionale promosse avverso tale ultima disposizione sono inammissibili, in quanto argomentate esclusivamente per relationem al ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, senza una pur minima motivazione ulteriore.
Ai fini di scrutinare le questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, deve previamente osservarsi, come già fatto in relazione all’analogo nuovo art. 3, comma 1, lettera p), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, che la disposizione regionale impugnata contiene tre distinte norme, qualificando come attività edilizia sottoposta al regime giuridico della CILA: i) la ricostruzione di muri a secco; ii) il ripristino di muri a secco; iii) la nuova costruzione di muri a secco, in tutti i casi con altezza compresa tra 1,50 metri e 1,70 metri.
È indubbio che la nuova costruzione di muri a secco rientri nell’ipotesi di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.1), t.u. edilizia (id est: costruzione di manufatti edilizi fuori terra) e richieda, pertanto, il permesso di costruire.
Le opere di ricostruzione cui si riferisce la disposizione impugnata debbono considerarsi, invece, interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, in quanto sono «volti al ripristino di edifici, o parte di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza». Interventi del genere rientrano, secondo la normativa statale, nel regime della SCIA, ex art. 22, comma 1, lettera c), t.u. edilizia.
Si deve pertanto escludere, per entrambe le ipotesi ora esaminate, che le norme regionali censurate siano coerente e logico sviluppo della normativa statale, concretizzandosi invece in ipotesi integralmente nuove di attività edilizia sottoposta a CILA: di qui la fondatezza delle questioni promosse in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale.
Alla luce di quanto detto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera i), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «ricostruzione e» nonché «e di nuova costruzione». Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti delle ipotesi di ricostruzione e di nuova costruzione di cui alla disposizione impugnata.
Diversa, invece, la conclusione cui deve giungersi con riferimento agli interventi di ripristino di muri a secco. Questi, infatti, sono sussumibili in quelli di restauro o risanamento conservativo di cui all’art. 3, comma 1, lettera c), t.u. edilizia, in quanto si tratta di interventi edilizi «rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità […]» e che comprendono «il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio», che la disciplina statale sottopone al regime giuridico della CILA. La norma regionale siciliana, nell’autorizzare interventi di consolidamento di preesistenti muri a secco, senza innovazioni di sorta, deve considerarsi, pertanto, esemplificativa di quanto stabilito dal legislatore statale, con la conseguenza che non è fondata la questione promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale. La circostanza che essa sia coerente e logico sviluppo della normativa statale, in materia peraltro cui lo statuto speciale affida al legislatore siciliano potestà legislativa esclusiva, rende del pari non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettere m) ed l), Cost.
6.5.4.− Il nuovo art. 3, comma 2, lettera l), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, considera attività edilizia libera, purché preceduta da CILA, «la realizzazione di opere interrate di smaltimento reflui provenienti da singoli immobili destinati a strutture ed attività diverse dalla residenza appartenenti alle categorie funzionali previste alle lettere a-bis), b), c) e d) del comma 1 dell’articolo 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 come recepito dall’articolo 1». Il rinvio operato dalla disposizione regionale è a immobili che abbiano funzione turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale. L’art. 1, comma 2, lettera d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, ha disposto l’abrogazione della disposizione impugnata.
La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata, con assorbimento delle ulteriori censure.
La realizzazione di opere interrate, quali quelle di cui alla norma regionale impugnata, è indubbiamente riconducibile all’ipotesi della costruzione di manufatti edilizi interrati di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.1), t.u. edilizia, per la quale il legislatore statale richiede il permesso di costruire. Si deve escludere, dunque, che la disposizione regionale impugnata sia logicamente assimilabile alla normativa statale, concretizzandosi invece in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia sottoposta a CILA.
Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera l), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.
7.− Con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 anche nella parte in cui modifica l’art. 3, comma 2, lettera p), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016. La disposizione novellata prevede che, previa CILA, possono essere liberamente posti in essere «i sistemi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili a servizio degli edifici, da realizzare all’interno della zona A di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968, e nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, che non comportino pregiudizio alla tutela del contesto storico, ambientale e naturale, in relazione alle linee guida impartite dall’Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana».
Si deve ritenere, alla luce degli specifici argomenti spesi sul punto dal ricorrente, che la norma regionale sia censurata non perché sottoponga detti interventi edilizi al regime della CILA, ma perché dispone che essi siano realizzabili secondo quanto previsto dalle linee guida dell’Assessore regionale. Si tratterebbe di «una vistosa deroga» agli artt. 21 e 146 cod. beni culturali, che prevedono invece specifiche autorizzazioni per gli interventi che ricadono nei contesti tutelati; non sarebbe contemplato alcun intervento degli uffici preposti alla tutela, poiché il rispetto delle linee guida sarebbe autocertificato con la CILA; la valutazione di compatibilità sarebbe effettuata prendendo a parametro dette linee guida e non, invece, la «disciplina d’uso contenuta nei provvedimenti di vincolo e nel piano paesaggistico, come invece imposto dagli articoli 135, 140, 141-bis e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio», costituenti norme fondamentali di riforma economico-sociale, limitative della potestà legislativa esclusiva ex art. 14 dello statuto speciale. D’altro canto, i livelli di tutela ambientale posti dal legislatore statale potrebbero essere ampliati e non derogati in senso peggiorativo dal legislatore regionale, secondo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, sicché l’abbassamento del livello di tutela del paesaggio violerebbe anche l’art. 9 Cost.
Con l’art. 1, comma 2, lettera e), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, il legislatore siciliano ha disposto la sostituzione della censurata lettera p) con la seguente: «p) i sistemi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili a servizio degli edifici, che non alterino la volumetria complessiva degli stessi, da realizzare all’interno della zona A di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico nei casi e nei limiti previsti dai piani paesaggistici provinciali, fatte salve le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni ed ai sensi del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 e successive modificazioni».
Con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche tale nuova formulazione, limitandosi tuttavia ad osservare che «la conferma della realizzabilità mediante CILA dei sistemi indicati […] non consente di ritenere superate le relative censure contenute nel ricorso n. 63/2021»: come già rilevato, le questioni di legittimità costituzionale, in quanto argomentate esclusivamente per relationem, devono essere dichiarate inammissibili.
7.1.− La circostanza che la disposizione regionale impugnata con il primo ricorso presupponga l’adozione delle «linee guida impartite dall’Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana» non consente, tuttavia, di dichiarare cessata la materia del contendere, in quanto – in mancanza di allegazioni di sorta da parte della Regione Siciliana, del resto non costituitasi nel giudizio introdotto con il ricorso n. 63 del 2021 – non si può escludere che esse siano state adottate.
7.2.− Le questioni di legittimità costituzionale sono, ad ogni modo, non fondate nei termini che seguono.
Il novellato art. 3, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, richiamato dal successivo comma 2, espressamente stabilisce che gli interventi edilizi ivi previsti debbono essere realizzati nel rispetto «delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio». In presenza della chiara e inequivoca esplicitazione del necessario rispetto della normativa posta a tutela del paesaggio, espressiva di norme fondamentali di riforma economico-sociale (in tal senso, da ultimo, sentenze n. 248, n. 24 e n. 21 del 2022), può escludersi che la norma censurata consenta all’assessorato regionale di impartire linee guida in deroga a detta normativa paesaggistica statale (di recente, sentenza n. 251 del 2022), con il conseguente abbassamento del livello di tutela del paesaggio che ne deriverebbe.
8.− Del novellato art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, per mezzo dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, impugna anche il nuovo comma 7, ai sensi del quale «Le disposizioni di cui al presente articolo prevalgono su quelle contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi vigenti, i quali, ove in contrasto, si conformano al contenuto delle disposizioni del presente articolo». L’art. 1, comma 2, lettera f), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, ne ha disposto l’abrogazione.
Secondo il ricorrente, la previsione impugnata sarebbe in contrasto, innanzitutto, con norme fondamentali di riforma economico-sociale dettate dal t.u. edilizia, espressive di limiti ex art. 14 dello statuto siciliano, e nello specifico: con gli artt. 6, comma 1, e 6-bis, comma 1, che subordinano l’attività edilizia, sia essa libera o soggetta a CILA, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, che dunque sono prevalenti; e con l’art. 27, che regola la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, volta ad accertare l’eventuale violazione degli strumenti urbanistici e che sarebbe posta nel nulla dalla normativa censurata.
La norma regionale sarebbe altresì lesiva dell’autonomia riconosciuta ai comuni dagli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), e sesto comma, e 118 Cost., oltre che in contrasto con i limiti di cui all’art. 14 dello statuto siciliano: ciò perché verrebbe soppiantata la funzione pianificatoria comunale in materia urbanistica.
Ancora, la norma impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 14 dello statuto siciliano perché in violazione delle norme fondamentali di riforma economico-sociale di cui agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, in base ai quali «il piano paesaggistico assume carattere necessariamente sovraordinato agli altri strumenti di pianificazione territoriale»: la prevalenza della normativa regionale sugli strumenti urbanistici, che devono essere adeguati al piano paesaggistico, potrebbe tradursi in una deroga a quest’ultimo.
8.1.− La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con gli artt. 6, comma 1, e 6-bis, comma 1, t.u. edilizia, è fondata.
Le norme statali evocate dal ricorrente – che, come si è già rilevato, disciplinano gli interventi edilizi senza titolo abilitativo e previa CILA e che sono espressive di norme fondamentali di riforma economico-sociale – prevedono esplicitamente che detti interventi sono realizzabili sempre che non sia diversamente disposto dalle «prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali», con ciò consentendo alla pianificazione urbanistica di tenere in considerazione, di volta in volta, il contesto territoriale e, conseguentemente, di stabilire un diverso regime giuridico. La disposizione regionale impugnata, invece, segue una impostazione affatto opposta, prevedendo che le statuizioni legislative prevalgano sugli strumenti urbanistici – impedendo dunque a questi ultimi di svolgere la funzione loro propria, che è quella di compiere una valutazione che tenga nella debita considerazione lo specifico contesto territoriale, eventualmente optando per una disciplina edilizia anche più restrittiva rispetto alle scelte del legislatore – e capovolgendo il criterio di prevalenza della pianificazione urbanistica sugli interventi individuali, stabilito dalla normativa statale evocata quale parametro interposto. In tal modo, inoltre, la pianificazione urbanistica, la quale deve articolarsi secondo esigenze che non possono essere aprioristicamente identiche su tutto il territorio, è compiuta ex lege anziché dai comuni, cui anche l’art. 2, comma 4, t.u. edilizia espressamente affida il compito di disciplinare l’attività edilizia.
La rilevata antinomia normativa non può essere risolta in via ermeneutica facendo leva sul comma 1 del medesimo art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, richiamato anche dal successivo comma 2, che espressamente dispone che gli interventi edilizi ivi previsti siano realizzabili «fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali». Il chiaro tenore letterale della disposizione impugnata, che, come correttamente rileva il Presidente del Consiglio dei ministri, è in aperta contraddizione con la clausola di salvezza di cui al richiamato comma 1, impedisce una diversa attribuzione di significato normativo, compatibile con le norme evocate a parametro.
Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 7, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti della medesima disposizione.
9.− Con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna altresì l’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, che ha disposto la sostituzione dell’intero art. 5 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, stabilendo quali interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio sono subordinati a permesso di costruire.
Il ricorrente impugna, peraltro, non l’intero articolo novellato, ma la nuova lettera d), numeri 1), 4), 5) e 6). Con tali norme il legislatore regionale avrebbe autorizzato il recupero «generalizzato, senza alcun limite temporale e in deroga alla pianificazione urbanistica in qualunque tempo emanata, di qualsivoglia sottotetto, locale interrato etc., anche se realizzato, a rigore, addirittura dopo l’entrata in vigore della norma de qua»: il tutto consentito sia nei centri storici e su immobili vincolati, sia con riferimento a immobili regolarizzati attraverso sanatorie edilizie e SCIA in sanatoria, contrariamente a quanto previsto dal piano casa, per come esplicitato dall’intesa Stato-Regioni del 2009. Ne deriverebbe l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, dell’art. 117, primo comma, Cost. (per contrasto con la Convenzione europea per il paesaggio), oltre che dell’art. 9 Cost. per l’abbassamento del livello di tutela del paesaggio, e degli artt. 3 e 97 Cost., perché sono consentiti irragionevolmente interventi anche su «edifici di recentissima realizzazione o addirittura di futura edificazione, senza che possano venire in gioco, quindi, interessi pubblici rilevanti quali il contenimento dell’uso di suolo, l’efficientamento energetico, o la rigenerazione urbana, che stanno alla base della normativa di recupero dei sottotetti o dei piani interrati».
9.1.− Le disposizioni impugnate sono state in parte oggetto di modifica per opera dell’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, con il quale si è introdotto un limite temporale ai numeri 1) e 4) della lettera d) (precisandosi che gli interventi edilizi in discorso possono compiersi su immobili esistenti «alla data di entrata in vigore della presente legge») e si è abrogata una parte del numero 5).
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche tali disposizioni di modifica, che «non consentono di ritenere superate» le censure di cui al ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021. Si rileva, infatti, che rimarrebbe consentito il recupero abitativo di edifici esistenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 e di immobili oggetto di sanatorie edilizie.
Il legislatore regionale, inoltre, avrebbe inteso autorizzare, a far data dalla entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, «la presentazione delle domande per l’ottenimento del permesso di costruire in sanatoria, anche in relazione ad interventi, in origine abusivamente realizzati, che potrebbero beneficiare di una modifica della disciplina urbanistica ed edilizia in senso più favorevole medio tempore intervenuta»: il che sarebbe in contrasto con la cosiddetta doppia conformità di cui all’art. 36 t.u. edilizia.
La parziale abrogazione del numero 5), infine, non escluderebbe che le opere di recupero volumetrico possano realizzarsi anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
9.1.1.− Nell’atto di costituzione nel giudizio introdotto con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022, la Regione Siciliana osserva, innanzitutto, che gli immobili devono esistere alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 ed «essere stati regolarmente autorizzati, anche attraverso sanatorie edilizie rilasciate ai sensi dell’articolo 36 del t.u. edilizia, e non in violazione allo stesso»: poiché l’art. 36 t.u. edilizia consentirebbe sanatorie solo in caso di doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente tanto al momento della sua realizzazione quanto a quello della presentazione della relativa domanda, il ricorso «appare di difficile comprensione logico-giuridica». L’intervento legislativo regionale, inoltre, avrebbe temporalmente circoscritto la possibilità di recupero a fini abitativi, sicché non sarebbero «comprensibili gli aspetti sui quali risulterebbero ancorati i profili di illegittimità sollevati».
9.2.− La Regione ha eccepito, inoltre, che le questioni di legittimità costituzionale di cui al ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022 sono motivate solo per relationem ai vizi dedotti dal Presidente del Consiglio dei ministri nel ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
L’eccezione non è fondata, in quanto, se pure non manca il rinvio ai motivi di cui al ricorso n. 63 del 2021, il ricorrente censura le disposizioni della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 anche con argomenti autonomi e sufficientemente chiari.
9.3.− I dubbi di legittimità costituzionale prospettati avverso le disposizioni regionali contenute tanto nella legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 quanto nella legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 possono essere congiuntamente esaminati nel merito.
Il Presidente del Consiglio dei ministri sostanzialmente lamenta che il legislatore siciliano avrebbe adottato una normativa che consente il recupero volumetrico a fini abitativi: i) anche quando si tratti di immobili abusivi oggetto di sanatoria, il che sarebbe in contrasto con il piano casa di cui all’intesa del 2009; ii) senza alcun limite temporale, dettando in tal modo una disciplina “a regime”, che sarebbe contrastante con i princìpi in tema di pianificazione urbanistica e che riguarderebbe anche immobili venuti a esistenza successivamente alla legge reg. Siciliana n. 16 del 2016; iii) in deroga alla normativa vigente di cui all’art. 41-quinquies della legge urbanistica e al d.m. n. 1444 del 1968, nonché al codice dei beni culturali.
9.3.1.− Le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti delle disposizioni impugnate, in quanto esse consentirebbero il recupero a fini abitativi anche di locali di immobili abusivi oggetto di sanatoria, non sono fondate.
Gli edifici che hanno ottenuto il titolo in sanatoria non possono, infatti, considerarsi abusivi. Questa Corte ha già affermato che, secondo la normativa statale sul piano casa, il divieto di beneficiare delle premialità volumetriche con riguardo agli immobili abusivi non opera «quando sia stato rilasciato il titolo edilizio in sanatoria» (sentenza n. 24 del 2022). Con esso, infatti, si regolarizzano le opere edificate in difetto di (o in difformità dal) titolo edilizio, quando queste ultime sono conformi «alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione [dell’immobile] sia al momento della presentazione della domanda» (sentenza n. 107 del 2017). Non è corretto, pertanto, l’assunto del ricorrente secondo cui la normativa statale sul piano casa non è applicabile agli immobili sanati.
E tutto ciò, peraltro, a prescindere da ogni considerazione sulla possibilità di far ricadere le disposizioni regionali censurate (che consentono di rendere abitativi locali già esistenti senza alterazione della volumetria al fine di contenere il consumo di nuovo territorio) nel perimetro applicativo della disciplina del piano casa (che è, invece, volta ad ammettere, in deroga alla normativa vigente, la costruzione di nuova volumetria).
9.3.2.− Parimenti non fondate sono le questioni di legittimità costituzionale, aventi a oggetto le medesime disposizioni, con le quali si lamenta che il recupero volumetrico a fini abitativi sia una disciplina “a regime”, ovvero riguardante immobili venuti a esistenza in ogni tempo, anche successivamente alla legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ciò è escluso dalle norme di cui all’art. 2, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, che introduce la formula «esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge» tanto al numero 1), quanto al numero 4) della lettera d) dell’art. 5, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come introdotto dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021. Con la legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, pertanto, il legislatore ha espressamente previsto che il permesso di costruire volto al recupero volumetrico a fini abitativi può essere ottenuto sempre che riguardi non qualsivoglia immobile, ma un immobile già esistente alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.
Identica norma può ricavarsi, per via ermeneutica, dall’art. 5, comma 1, lettera d), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, nel testo introdotto dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 e precedente alle modifiche di cui ora si è detto per opera della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022. La circostanza che il recupero volumetrico a fini abitativi possa essere effettuato solo su immobili già esistenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, infatti, si deve ricavare da plurimi indici testuali: i) scopo delle opere edilizie di recupero volumetrico è, come espressamente si dice alla lettera d) in esame, il «contenimento del consumo di nuovo territorio», il che impedisce di ritenere applicabili le previsioni regionali censurate a immobili non ancora esistenti, i quali evidentemente determinano ex se il consumo di nuovo territorio; ii) il fatto stesso che le previsioni regionali siano volte a consentire il «recupero volumetrico ai fini abitativi» presuppone la previa esistenza del bene immobile del quale si vuole consentire il mutamento di destinazione; iii) il numero 1) della lettera d), che provvede a definire i locali sui quali possono realizzarsi le opere di recupero volumetrico ai fini abitativi, esplicitamente si riferisce a locali «esistenti e regolarmente realizzati», il che pure deve indurre a ritenere che gli immobili che possono essere interessati dagli interventi edilizi in questione debbono essere già materialmente presenti sul territorio; iv) infine, le disposizioni regionali impugnate con il ricorso n. 63 del 2021 sono tutte inserite nella legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, della quale novellano, come si è detto, l’intero art. 5, sicché è alla data di entrata in vigore di detta legge regionale che deve farsi riferimento per individuare il tempo in cui debbono essere esistenti e realizzati gli immobili i cui locali si vuole fare oggetto di recupero volumetrico a fini abitativi.
9.3.3.− La questione di legittimità costituzionale avente a oggetto l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come introdotto dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale in ragione della possibilità di effettuare gli interventi edilizi ivi previsti anche in deroga alla normativa vigente è, invece, fondata.
La giurisprudenza di questa Corte ha già riconosciuto che interventi di recupero come quelli in esame «perseguono interessi ambientali certamente apprezzabili, quali la riduzione del consumo di suolo e l’efficientamento energetico» (sentenza n. 54 del 2021; da ultimo, anche sentenza n. 17 del 2023), ma ha altresì affermato che le leggi regionali che li consentano debbono prevedere (o devono essere interpretate nel senso che devono prevedere) il rispetto tanto della normativa sugli standard urbanistici quanto del codice dei beni culturali (sentenze n. 17 del 2023, n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021, n. 208 del 2019, n. 282 del 2016).
La disposizione regionale impugnata, che espressamente contempla la possibilità di realizzare gli interventi edilizi di recupero volumetrico a fini abitativi «in deroga alle norme vigenti», impedisce di ritenere, anche solo in via ermeneutica, che è fatto salvo il rispetto della normativa sugli standard urbanistici e di quella posta dal codice dei beni culturali, entrambe espressive di norme fondamentali di riforma economico-sociale.
Costituzionalmente illegittima per le medesime ragioni è anche la previsione, parimenti impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all’art. 5, comma 1, lettera d), numero 6), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come introdotto dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021: essa, infatti, fa espressamente salva la deroga di cui al precedente numero 4).
Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021: i) nella parte in cui introduce l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «in deroga alle norme vigenti e comunque»; ii) nella parte in cui introduce l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 6), della legge reg. n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «, fatte salve le deroghe di cui ai punti precedenti».
9.3.4.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna per analoghe ragioni anche il nuovo art. 5, comma 1, lettera d), numero 5), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’impugnato art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale consentirebbe la realizzazione di opere di recupero volumetrico a fini abitativi, nei centri storici e negli immobili vincolati, in deroga al codice dei beni culturali. I dubbi di legittimità costituzionale non sarebbero venuti meno per opera delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, che ha parzialmente abrogato la disposizione introdotta con la legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 e che è a sua volta ritualmente impugnato (reg. ric. n. 33 del 2022).
Le questioni promosse con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021 non sono fondate. La disposizione regionale impugnata – secondo cui il recupero volumetrico «può avvenire anche mediante la previsione di apertura di finestre, lucernari e terrazzi esclusivamente per assicurare l’osservanza dei requisiti di aero-illuminazione» e in base alla quale tali interventi possono essere effettuati anche in centri storici o su immobili vincolati – non prevede espressamente alcuna deroga alle norme di riforma economico-sociale dettate dal codice dei beni culturali, sicché deve ritenersi che tutti gli interventi edilizi ivi previsti possano essere realizzati solo nel rispetto della normativa statale a tutela del paesaggio.
Anche le questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022 non sono fondate. Il ricorrente lamenta che la parziale abrogazione del numero 5) non vale ad escludere la realizzabilità di opere di recupero volumetrico anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico. Quel che rileva ai fini dell’odierno scrutinio, tuttavia, è che tali opere siano realizzate nel rispetto di quanto previsto dal codice dei beni culturali: sotto questo profilo, deve rilevarsi che se l’impugnato art. 2, comma 1, lettera c), si limita ad abrogare parte del richiamato numero 5), il medesimo art. 2, comma 1, lettera d), aggiunge al numero 6) una clausola volta a garantire che le opere in questione siano realizzate nel rispetto di diverse normative, tra cui quelle del codice dei beni culturali e del piano paesaggistico.
10.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, impugna anche l’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale ha integralmente sostituito l’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, censurandone il solo comma 10, il quale dispone: «Previa segnalazione certificata di inizio attività, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modificazioni sono consentiti nel medesimo lotto gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati, nel rispetto della volumetria esistente, per motivi di sicurezza o di rispetto di distanze previste negli strumenti urbanistici vigenti alla data dell'intervento previo parere e autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza competente per territorio».
Secondo il ricorrente, la norma regionale sarebbe in contrasto con la clausola di salvaguardia a favore dei beni tutelati secondo il codice dei beni culturali (art. 3, comma 1, lettera d, t.u. edilizia). Detta clausola, infatti, prevede che, per poter qualificare come ristrutturazione edilizia le demolizioni e ricostruzioni o gli interventi di ripristino effettuati su beni vincolati o situati in aree vincolate, deve essere assicurato «il mantenimento contemporaneamente di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente»: in caso contrario, si è dinanzi a una nuova costruzione ed è pertanto necessario il permesso di costruire. La norma regionale, invece, per taluni di siffatti interventi su immobili tutelati prevede la SCIA e non il permesso di costruire, con ciò violando l’art. 14 dello statuto speciale, gli artt. 9 e 117, primo e secondo comma, lettere l), m) ed s), Cost.
La disposizione impugnata è stata abrogata dall’art. 3, comma 1, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato.
10.1.− La questione di legittimità costituzionale, promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con l’art. 3 t.u. edilizia, è fondata.
La norma regionale, come correttamente rileva il ricorrente, prevede che gli interventi di demolizione e ricostruzione e quelli di ripristino di edifici crollati, sottoposti a vincolo ex codice dei beni culturali, possano essere realizzati nel solo rispetto della volumetria esistente e previa SCIA.
La normativa statale, invece, esplicitamente dispone che, per gli immobili tutelati dal codice dei beni culturali, si è dinanzi a ristrutturazione edilizia solo ove demolizione, ricostruzione e ripristino mantengano «sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria» (art. 3, comma 1, lettera d, t.u. edilizia, ultimo periodo): solo in tal caso, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lettera c), è sufficiente la SCIA, mentre, ove si intenda modificare uno o più di questi aspetti, l’intervento edilizio è soggetto a permesso di costruire.
Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 10, comma 10, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti della medesima disposizione.
11.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, impugna altresì l’art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale sostituisce l’art. 25, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.
Detto art. 25 disciplina la compatibilità paesaggistica delle costruzioni realizzate in zone sottoposte a vincolo e la regolarizzazione di autorizzazioni edilizie in assenza di autorizzazione paesaggistica. Con la novella censurata, il legislatore siciliano consentirebbe, secondo il ricorrente, una sanatoria paesaggistica ex post «per il solo fatto che sia stata presentata istanza di concessione edilizia prima dell’apposizione del vincolo, circostanza che diventa unica condizione legittimante».
La norma regionale sarebbe così in contrasto con il divieto di sanatoria paesaggistica ex post stabilito, in particolare, dagli artt. 146 e 167 cod. beni culturali, i quali indicano i «ristrettissimi casi, di natura eccezionale» in cui detta sanatoria resta possibile: di qui la violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, quelle violate essendo norme fondamentali di riforma economico-sociale, degli artt. 117, secondo comma, lettere l) ed m), Cost., nonché dell’art. 9 Cost., in quanto si determinerebbe un abbassamento del livello di tutela del paesaggio, e degli artt. 3 e 97 Cost., poiché si riaprirebbero irragionevolmente e in modo sproporzionato i termini della sanatoria.
La disposizione impugnata è stata abrogata ad opera dell’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato.
Successivamente, il legislatore siciliano, con l’art. 12, comma 11, della legge della Regione Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024), ha introdotto nell’art. 25 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 un nuovo comma 2-bis, il cui testo è sostanzialmente identico al comma 3 del medesimo art. 25, nella versione antecedente alla sostituzione operata con la disposizione impugnata. Il richiamato art. 12, comma 11, è stato impugnato separatamente dinanzi a questa Corte (reg. ric. n. 48 del 2022).
11.1.− Ai fini dello scrutinio nel merito, è previamente necessaria una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
Il codice dei beni culturali vieta espressamente la cosiddetta sanatoria paesaggistica postuma. All’art. 146, infatti, stabilisce che «Fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi». I casi di cui all’art. 167 consentono al trasgressore di ottenere la compatibilità paesaggistica e, dunque, di non rimettere in pristino i luoghi.
La ratio della normativa statale, più severa rispetto alla disciplina previgente, è quella di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento. Si esclude in radice, dunque, che l’esame di compatibilità paesaggistica possa essere postergato all’intervento realizzato.
In ragione di questo nuovo sistema, come detto più rigoroso rispetto al passato, il legislatore statale aveva previsto un regime transitorio: regime in base al quale l’autorità paesaggistica competente può rilasciare la sanatoria paesaggistica, in deroga all’art. 146 e dunque anche successivamente all’entrata in vigore del codice dei beni culturali, purché la domanda di sanatoria fosse stata già presentata al 30 aprile 2004 (art. 182, comma 3-bis, cod. beni culturali).
Tale disposizione transitoria è espressamente richiamata dall’art. 25, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, il quale stabilisce che essa «si applica nella Regione anche alle domande di sanatoria presentate ai sensi dell’articolo 24 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 e dell’articolo 1 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26 per le costruzioni realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico e definite con il rilascio di concessione in sanatoria non precedute dall’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica».
Il novellato, e impugnato, successivo comma 3, recita: «La procedura di cui ai commi 1 e 2 si applica anche per la regolarizzazione di concessioni edilizie rilasciate in assenza di autorizzazione paesaggistica per i beni individuati dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 134 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, sempre che le relative istanze di concessione siano state presentate al comune di competenza prima dell’apposizione del vincolo». La disposizione impugnata, pertanto, per mezzo del richiamo al comma 1, rende applicabile l’art. 182, comma 3-bis, cod. beni culturali a una ulteriore ipotesi, che è la sola sottoposta all’esame di questa Corte.
11.2.− Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con gli artt. 146 e 167 cod. beni culturali, è fondata.
La normativa regionale impugnata, come detto, finisce per rendere applicabile il regime transitorio di cui all’art. 182, comma 3-bis, cod. beni culturali anche a casi ulteriori e diversi. Ai sensi della normativa statale, infatti, è possibile ottenere l’autorizzazione paesaggistica postuma purché la relativa domanda sia stata presentata prima del 30 aprile 2004; la normativa regionale, invece, prevede la possibilità di ottenere tale autorizzazione, non rilasciata al tempo dell’accordata concessione edilizia, anche per il caso che l’istanza a tal fine sia presentata dopo il 30 aprile 2004: secondo la norma impugnata, infatti, ciò che rileva non è il momento in cui è stata presentata l’istanza di autorizzazione paesaggistica postuma – unica condizione legittimante prevista dal legislatore statale – ma quello, diverso, in cui al Comune è stata fatta istanza di concessione edilizia, la quale deve essere stata presentata prima dell’apposizione del vincolo paesaggistico.
La norma impugnata – prevedendo l’applicabilità del regime di cui all’art. 182, comma 3-bis, cod. beni culturali a fattispecie diverse rispetto a quelle ivi contemplate – consente dunque di ottenere la sanatoria paesaggistica ex post in ipotesi diverse da quelle, ristrettissime e tassative (sentenza n. 201 del 2021), di cui agli artt. 146 e 167 cod. beni culturali.
Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti della medesima disposizione.
12.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso n. 63 del 2021, impugna anche l’art. 22 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale all’art. 28, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 sostituisce la parola «abitativo» con la parola «abilitativo» e poi aggiunge le seguenti parole: «Le perizie giurate possono essere precedute da comunicazioni asseverate (CILA tardive) e segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA in sanatoria) per la regolarizzazione di opere minori realizzate all’interno degli immobili oggetto di condono edilizio non definiti, utili per la definizione del condono». In tal modo, sarebbe stata introdotta «una sorta di silenzio assenso in materia di condono, sia pure mediato dal deposito di una perizia tecnica di parte»: trascorsi 90 giorni dal deposito di tale perizia attestante il possesso dei requisiti stabiliti per usufruire del condono, infatti, questa acquista efficacia di titolo abilitativo.
La disposizione regionale violerebbe le norme fondamentali di riforma economico-sociale espresse, in materia di condono, dagli artt. 31 «e seguenti» della legge n. 47 del 1985, dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, come convertito. Essa, infatti, prevede, «anziché un biennio, un termine molto più breve per la formazione del titolo e includ[e] nell’ambito applicativo della fattispecie anche gli immobili vincolati», in contrasto con i «capisaldi posti dal legislatore statale in tema di condono». Il ricorrente osserva, tra l’altro, che il titolo in sanatoria si potrebbe formare, in assenza della verifica comunale, anche laddove la perizia risulti errata e persino in presenza di immobili vincolati.
La previsione regionale si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 20 della legge n. 241 del 1990, il quale oggi prevede il rilascio, su richiesta dell’interessato, di un’attestazione sul decorso dei termini del procedimento e sull’accoglimento tacito della domanda: dal che la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Secondo il ricorrente, la disposizione regionale prefigurerebbe una sorta di «“condono minore”, nelle more del condono principale». Interventi abusivi che siano effettuati su un immobile già abusivo, infatti, «costituiscono a loro volta illeciti edilizi, che accedono all’illegittimità dell’opera principale, e non possono certamente essere sanati mediante la procedura» impugnata. Di qui, il contrasto con «i princìpi in tema di condono ripetutamente ribaditi dalla Corte costituzionale, nonché affermati dal Giudice penale» e, dunque, con l’art. 14 dello statuto speciale. Sotto questo profilo, la norma sarebbe anche manifestamente irragionevole.
La novellata disposizione impugnata, poi, contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto avrebbe una «evidente ricaduta anche sul piano dell’ordinamento penale», di esclusiva competenza legislativa statale.
L’art. 7 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, non impugnato, ha sostituito l’intero art. 28, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, il quale ora dispone: «Trascorso il termine di 90 giorni dalla data di deposito della perizia che asseveri la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, senza che sia stato emesso provvedimento con il quale viene assentito o negato il condono, si applica quanto previsto dall’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni. La presente disposizione non si applica agli abusi su immobili vincolati».
12.1.− Le questioni di legittimità costituzionale sono inammissibili per tardività.
La disposizione regionale impugnata, come detto, aggiunge un nuovo periodo all’art. 28, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, nel testo vigente antecedentemente alla sostituzione per opera della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022. Le censure del ricorrente, tuttavia, non si rivolgono a questa sola parte della normativa regionale, ma si appuntano, invece, pressoché integralmente sul precedente periodo dell’art. 28, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, ai sensi del quale: «Trascorso il termine di 90 giorni dalla data di deposito della perizia, senza che sia stato emesso provvedimento con il quale viene assentito o negato il condono, la perizia acquista efficacia di titolo abitativo». È a questa disposizione che deve riferirsi l’effetto, contestato dal Presidente del Consiglio dei ministri, di avere previsto «una sorta di silenzio assenso in materia di condono, sia pure mediato dal deposito di una perizia tecnica di parte»: le censure sono dunque rivolte a una norma non introdotta dall’impugnato art. 22 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, ma già vigente nell’ordinamento regionale, con la conseguenza che esse sono tardive, e pertanto inammissibili, per essere state proposte oltre il termine di sessanta giorni di cui all’art. 127 Cost. (da ultimo, sentenza n. 6 del 2023).
Non valgono a superare le ragioni d’inammissibilità le poche righe dedicate dal ricorrente al solo periodo aggiunto: al di là del fatto che gli argomenti spesi sul punto sono conseguenziali a quelli concernenti la prima parte del richiamato art. 28, comma 3 – cui le parole aggiunte dalla disposizione impugnata sono del resto strettamente connesse – essi sono del tutto insufficienti a consentire uno scrutinio nel merito.
13.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, impugna anche l’art. 37, comma 1, lettere a) e d), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, le quali rispettivamente sostituiscono l’art. 2, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, sul piano casa siciliano, e abrogano alcune parole all’art. 11, comma 2, della medesima legge regionale.
Le modifiche avrebbero «l’effetto dirompente di capovolgere il principio statale, posto alla base del cosiddetto piano casa, in base al quale gli abusi edilizi, benché oggetto di sanatoria, non sono mai computabili ai fini di ottenere premialità edilizie su quei volumi», come risulterebbe dall’intesa tra lo Stato e le regioni del 1° aprile 2009: il che, oltre che in contrasto con l’art. 14 dello statuto speciale, sarebbe anche contrario ai princìpi di proporzionalità e di ragionevolezza.
Le indicate disposizioni regionali, inoltre, determinerebbero «l’evidente incremento dell’edificazione anche in aree vincolate paesaggisticamente», in contrasto con l’art. 167, comma 4, cod. beni culturali, norma fondamentale di riforma economico-sociale.
13.1.− Le disposizioni della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010 interessate da dette modifiche sono state ulteriormente modificate dall’art. 8, comma 1, lettere a) e d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022.
Secondo il ricorrente, con l’art. 8, comma 1, lettera a), «si escludono dall’ambito oggettivo di applicazione del “piano casa” gli immobili condonati» ma non è previsto «un termine in relazione al quale valutare “legittima la realizzazione degli edifici”», sicché la disposizione regionale «risulta presentare i medesimi profili di legittimità costituzionale già evidenziati con riferimento all’articolo 37 della legge regionale n. 23 del 2021, che pertanto si ripropongono, fatta eccezione per le considerazioni in ordine agli immobili condonati, ora specificamente esclusi dalla disposizione in commento».
Per quel che concerne la modifica disposta dall’art. 8, comma 1, lettera d), il Presidente del Consiglio dei ministri prende atto che la norma regionale esclude dal campo di applicazione della norma modificata gli immobili oggetto di condono edilizio, ma richiama «le considerazioni svolte, in relazione al disposto di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), della L.R. in esame, che [intende] qui integralmente ribadite» e osserva che le modifiche apportate non consentono di ritenere superati gli ulteriori motivi di censura formulati nel ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
13.1.1.− Le questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022 sono inammissibili.
Le censure avverso l’art. 8, comma 1, lettera a), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, infatti, sono motivate esclusivamente per relationem al ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
Quelle rivolte all’art. 8, comma 1, lettera d), sono motivate per mezzo di rinvio interno ad altra parte del ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022: secondo la giurisprudenza di questa Corte, la portata delle questioni in tal modo promosse deve essere chiara (sentenze n. 83 del 2016 e n. 68 del 2011). Nel caso di specie, invece, la censura è oscura: la disposizione oggetto di censura nella parte richiamata del ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022 reca, infatti, tutt’altro contenuto normativo, sicché gli argomenti ivi utilizzati non possono considerarsi sufficienti a sostenere anche le censure rivolte ad altra disposizione.
13.2.− Ai fini dello scrutinio nel merito delle questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, è necessario dar conto dell’effetto che le disposizioni impugnate hanno sulla legge reg. Siciliana n. 6 del 2010.
L’art. 2, comma 4, di tale legge regionale, nell’indicare quali fossero gli interventi edilizi realizzabili sulla base del piano casa, prima dell’impugnata novella del 2021 recitava: «4. Gli interventi possono riguardare esclusivamente edifici legittimamente realizzati. Sono esclusi gli immobili che hanno usufruito di condono edilizio salvo quelli oggetto di accertamento di conformità di cui all’articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dall’articolo 1 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37». Il legislatore siciliano, pertanto, aveva esplicitamente escluso che gli interventi del piano casa potessero ricadere su immobili condonati.
Detta esclusione veniva ribadita nel successivo art. 11, comma 2, lettera f), il quale, nel testo antecedente alla legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, stabiliva che gli interventi previsti dalla legge reg. Siciliana n. 6 del 2010 non potessero riguardare: «gli immobili oggetto di condono edilizio nonché di ordinanza di demolizione, salvo quelli oggetto di accertamento di conformità di cui all’articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dall’articolo 1 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37».
Con le disposizioni impugnate con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, invece, il legislatore siciliano ha implicitamente ammesso che gli interventi del piano casa possano eseguirsi anche su immobili che abbiano usufruito di condono edilizio.
L’impugnato art. 37, comma 1, lettera a), infatti, ha sostituito l’art. 2, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010 con il seguente: «Gli interventi riguardano edifici realizzati con titoli abilitativi che ne hanno previsto la costruzione o che ne hanno legittimato la stessa». L’art. 37, comma 1, lettera d), pure impugnato, ha disposto la soppressione delle parole «di condono edilizio nonché» all’art. 11, comma 2, lettera f), della medesima legge regionale.
13.2.1.− Ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale promosse in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con i princìpi posti dalla normativa statale sul piano casa, sono fondate.
Questa Corte ha già affermato che l’intesa tra Stato e regioni del 1° aprile 2009, per mezzo della quale si è adottato il piano casa volto a favorire iniziative per il rilancio dell’economia e a introdurre incisive misure di semplificazione dell’attività edilizia, «puntualizza che gli interventi edilizi non possono riferirsi a edifici abusivi ovvero ubicati nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta» (sentenza n. 24 del 2022). Tale specifico profilo dell’intesa ha trovato puntuale attuazione nell’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, ai sensi del quale gli interventi edilizi «non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria».
Si è altresì osservato, in quella medesima pronuncia, che la nozione di titolo abilitativo edilizio in sanatoria deve interpretarsi, in coerenza con la terminologia adoperata dal legislatore e con la ratio della normativa in esame, in senso restrittivo e, quindi, differente dal condono: «[m]entre il condono ha per effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia (sentenza n. 50 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto), il titolo in sanatoria presuppone la conformità alla disciplina urbanistica e edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’immobile sia al momento della presentazione della domanda (sentenza n. 107 del 2017, punto 7.2. del Considerato in diritto). A favore dell’interpretazione restrittiva milita il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative. La disciplina ricordata configura una norma fondamentale di riforma economico-sociale, come confermano l’ampiezza degli obiettivi perseguiti, l’incidenza su aspetti qualificanti della normativa edilizia e urbanistica e la stessa scelta di coinvolgere anche Regioni ed enti locali nel definire i tratti essenziali dell’intervento riformatore» (sentenza n. 24 del 2022).
Il legislatore siciliano, consentendo la realizzazione di interventi edilizi anche su immobili che hanno usufruito del condono edilizio, ha dunque violato una norma fondamentale di riforma economico-sociale idonea a vincolare la potestà legislativa primaria di cui all’art. 14 dello statuto speciale.
Deve essere dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, lettere a) e d), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti delle medesime disposizioni.
14.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, impugna altresì l’art. 37, comma 1, lettera c), numero 1), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale abroga in parte l’art. 6, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010.
Tale ultima disposizione, nel testo previgente a quella impugnata, prevedeva che le istanze relative agli interventi edilizi da compiere in base al piano casa «sono presentate entro quarantotto mesi dal termine fissato al comma 4 e sono corredate, a pena di inammissibilità, dal titolo abilitativo edilizio ove previsto relativo all’immobile oggetto di intervento, rilasciato o concretizzatosi antecedentemente alla data di presentazione dell’istanza». La disposizione impugnata sopprime le parole «sono presentate entro quarantotto mesi dal termine fissato al comma 4 e».
La norma impugnata, secondo il ricorrente, facendo venir meno il limite di 48 mesi per la presentazione delle istanze, non solo renderebbe tempestive le istanze tardive già presentate, ma riaprirebbe «sine die i termini del piano casa siciliano consentendo la presentazione di nuove domande senza alcun limite temporale». In questo modo verrebbe del tutto «snaturata» la finalità originaria del piano casa, che era quella di consentire interventi straordinari su edifici abitativi per un periodo temporalmente limitato, come espressamente stabilito dall’intesa del 2009, che prevedeva un limite temporale di diciotto mesi. Limite che era sì modificabile in senso ampliativo dalle singole regioni, ma secondo proporzionalità e ragionevolezza.
Il legislatore siciliano avrebbe, dunque, stabilizzato «una normativa eccezionale e derogatoria alla pianificazione urbanistica», in contrasto con una norma fondamentale di riforma economico-sociale. La sostanziale riapertura dei termini per presentare le istanze del piano casa avrebbe come effetto «quello di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi consentiti ex lege, al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale, scardinando così il principio fondamentale in materia di governo del territorio secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti solo nel quadro della pianificazione urbanistica». Di qui, anche la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto le trasformazioni sul territorio non sono previste «sulla base di una valutazione riferita ai singoli contesti, bensì in base a un disegno generale e astratto operato una volta per tutte dalla legge».
14.1.− Il modificato art. 6, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010 è stato sostituito per opera dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto n. 33 reg. ric. 2022. Il nuovo testo recita: «Fermo restando il termine per la realizzazione degli interventi di cui agli articoli 2 e 3, come previsto dall’articolo 5 della legge regionale 30 dicembre 2020, n. 36, fissato al 31 dicembre 2023, le istanze relative agli interventi sono presentate entro il 30 giugno 2023 e sono corredate, a pena di inammissibilità, dal titolo abilitativo edilizio ove previsto relativo all’immobile oggetto di intervento, rilasciato o concretizzatosi antecedentemente alla data di presentazione dell’istanza».
Il ricorrente – una volta rilevato che nell’impianto originario della legge siciliana sul piano casa detto termine era di ventiquattro mesi, portato poi a quarantotto mesi, prima della sua soppressione per opera della legge reg. Siciliana n. 63 del 2021 – osserva che la norma impugnata, pur introducendo un termine, «mantiene comunque la scelta di prolungare la durata del piano casa in modo arbitrario e irragionevole rispetto alla durata originaria», peraltro consentendo interventi anche su «immobili non ancora realizzati, ma soltanto assentiti con il rilascio del titolo edilizio; immobili per i quali non appaiono sussistere esigenze di riqualificazione edilizia o di efficientamento energetico». Esplicitamente ribaditi gli argomenti già spesi nel ricorso n. 63 del 2021, il ricorrente ritiene che la disposizione impugnata, violando il principio della necessaria pianificazione urbanistica espresso dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, sia in contrasto con l’art. 14 dello statuto speciale. La norma statutaria sarebbe violata, poi, anche in ragione della violazione del principio di temporaneità del piano casa. Le ragioni di illegittimità costituzionale troverebbero riscontro, peraltro, anche nella sentenza n. 24 del 2022 di questa Corte.
Il ricorrente osserva, ancora, che tra le norme fondamentali di riforma economico-sociale rientrano senz’altro anche gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, secondo i quali il piano paesaggistico è sovraordinato rispetto a ogni altro strumento di pianificazione: se è vero che il legislatore siciliano ha introdotto all’art. 11, comma 1, ultimo periodo, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010 la previsione secondo cui sui beni tutelati dal codice dei beni culturali sono consentiti solo interventi nei casi e nei limiti previsti dal piano paesaggistico, non possono tuttavia escludersi «del tutto i possibili pregiudizi che la trasformazione del territorio in deroga alla pianificazione urbanistica è in grado di arrecare alle esigenze di tutela del paesaggio».
Il ricorrente, poi, lamenta altresì la violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost., poiché la normativa regionale impedirebbe una valutazione riferita ai singoli contesti territoriali, irragionevolmente assimilati tra loro, nonché una adeguata considerazione delle esigenze di tutela del paesaggio.
14.2.− Secondo la Regione Siciliana, il ricorrente non avrebbe considerato, nel complesso, la normativa regionale in materia. Dall’esame di quest’ultima, si ricaverebbe, per un verso, che il termine per la realizzazione degli interventi è stato prorogato al 31 dicembre 2023 dall’art. 5, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 36 del 2020, e, per un altro, che gli interventi di ampliamento, demolizione o ricostruzione di cui al piano casa sarebbero possibili su immobili realizzati sulla base di un regolare titolo abitativo edilizio ed esistenti al 31 dicembre 2015 (art. 2 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010) o al 31 dicembre 2009 (art. 3 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010). Il termine modificato dalla disposizione impugnata sarebbe soltanto quello «per presentare le relative istanze» e non determinerebbe alcuna proroga del piano casa.
14.3.− Le questioni di legittimità costituzionale promosse, con entrambi i ricorsi, in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale sono fondate. Le norme impugnate, infatti, violano i princìpi della pianificazione urbanistica e della temporaneità del piano casa, entrambi aventi natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale, che in quanto tali limitano la potestà legislativa esclusiva della Regione Siciliana.
L’art. 6, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010 – tanto nella versione successiva alla legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, quanto in quella frutto della riformulazione operata dalla legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 – ha l’effetto di consentire anche oggi, a distanza di molti anni dall’adozione a livello nazionale e a livello regionale del piano casa, la presentazione di istanze per la realizzazione di interventi edilizi eccezionalmente consentiti in base a detto piano: l’unica differenza tra le due norme regionali sta nella fissazione, per opera della norma più recente, di un termine entro il quale presentare dette istanze, fissato al 30 giugno 2023.
Questa Corte ha già osservato che «reiterate proroghe di una disciplina eccezionale e transitoria, volta ad apportare deroghe alla pianificazione urbanistica al fine di consentire interventi edilizi di carattere straordinario, possono compromettere l’imprescindibile visione di sintesi, necessaria a ricondurre ad un assetto coerente i molteplici interessi che afferiscono al governo del territorio ed intersecano allo stesso tempo l’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (sentenze n. 19 e n. 17 del 2023 e n. 229 del 2022). Rendere stabile, o comunque protrarre a lungo nel tempo, una disciplina quale quella del piano casa nata come transitoria, infatti, ha come ineluttabile conseguenza quella di consentire «reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio edilizio esistente, isolatamente considerati e svincolati da una organica disciplina del governo del territorio», di autorizzare «interventi parcellizzati, svincolati da una coerente e stabile cornice normativa di riferimento», di trascurare «l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio, proprio della pianificazione urbanistica, e così» di danneggiare «il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale (sentenza n. 219 del 2021, punto 4.2. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 24 del 2022).
Le norme regionali censurate, che, come detto, consentono a più di dieci anni di distanza dall’entrata in vigore del piano casa siciliano la presentazione di istanze volte alla realizzazione di interventi edilizi straordinari, consegnano «ad una dimensione perennemente instabile e precaria» (sentenza n. 229 del 2022) la tutela del territorio e dello sviluppo urbanistico, che deve essere improntata all’esigenza di valutazione unitaria del territorio, richiesta dai princìpi di pianificazione urbanistica posti dal legislatore statale.
L’eccezionalità e la temporaneità del piano casa – insite già di per sé nella natura derogatoria delle trasformazioni edilizie consentite – sono d’altra parte espressamente affermate dall’intesa tra lo Stato e le Regioni del 1° aprile 2009, della quale la legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, secondo quanto disposto dal suo art. 1, è espressa attuazione. Detta intesa aveva stabilito che la disciplina introdotta con le leggi regionali avrebbe avuto «validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi dalla loro entrata in vigore»: se è vero che erano fatte salve «diverse determinazioni delle singole regioni», deve tuttavia osservarsi che una stabilizzazione del regime derogatorio (come prevista dalla legge reg. Siciliana n. 23 del 2021), come anche una sua durata più che decennale (come prevista dalla legge reg. Siciliana n. 2 del 2022), è del tutto incompatibile con la validità temporalmente definita e limitata posta a fondamento della disciplina sul piano casa.
Deve essere dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, lettera c), numero 1), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 e dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti delle medesime disposizioni.
15.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021 impugna, evocando plurimi parametri, anche l’art. 37, comma 1, lettera c), numero 2), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, il quale ha disposto l’abrogazione dell’art. 6, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, che stabiliva: «I comuni, con delibera consiliare, entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, possono motivatamente escludere o limitare l’applicabilità delle norme di cui agli articoli 2 e 3 ad immobili o zone del proprio territorio o imporre limitazioni e modalità applicative, sulla base di specifiche ragioni di carattere urbanistico, paesaggistico e ambientale».
Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata sarebbe in contrasto, innanzitutto, con l’autonomia dei comuni, come già argomentato nell’impugnare la nuova formulazione dell’art. 3, comma 7, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, argomentazioni cui il ricorrente espressamente rinvia: verrebbe soppiantata la funzione pianificatoria comunale in materia urbanistica. La disposta abrogazione sarebbe altresì irragionevole e sproporzionata, in quanto la norma abrogata «costituiva un punto di caduta necessario tra le opposte esigenze della riqualificazione abitativa e del principio di ordinato sviluppo del territorio di piena pertinenza dell’autorità comunale».
L’art. 8, comma 1, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 ha introdotto una disposizione sostanzialmente analoga a quella abrogata. Ciò, tuttavia, non consente la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, poiché nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 e quella della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 la norma impugnata ha senz’altro avuto applicazione, impedendo ai comuni – secondo la prospettiva del ricorrente – di avvalersi della disposizione abrogata.
15.1.− Le questioni di legittimità costituzionale sono, tuttavia, inammissibili.
L’abrogato art. 6, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010 aveva una applicazione temporalmente limitata, potendo i comuni decidere di avvalersi della possibilità ivi prevista di escludere o limitare motivatamente l’operatività del piano casa sul proprio territorio «entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge»: entrata in vigore avvenuta nell’aprile 2010. Al momento dell’avvenuta abrogazione, disposta nell’agosto 2021, era dunque già da più d’un decennio che i comuni non potevano farne applicazione.
Ciò considerato, non possono essere comprese, e men che mai condivise, le ragioni dell’impugnativa, in quanto, anche ove il legislatore siciliano non avesse abrogato la norma in discorso, i comuni non avrebbero (più) potuto farne applicazione. Di qui l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale: il ricorrente, a fronte della limitata applicabilità nel tempo dell’art. 6, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2010, avrebbe dovuto adeguatamente motivare circa le ragioni per cui l’abrogazione dispostane con la norma impugnata avrebbe determinato la lesione dei numerosi parametri evocati.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Siciliana 6 agosto 2021, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16. Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica), nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), limitatamente alle parole «, compresa la realizzazione di ascensori esterni se realizzati su aree private non prospicienti vie e piazze pubbliche»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettere h), l), m), p), s) e af), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettere g), h) ed l), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera i), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «ricostruzione e» nonché «e di nuova costruzione»;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 7, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016;
6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «in deroga alle norme vigenti e comunque»;
7) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 6), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «, fatte salve le deroghe di cui ai punti precedenti»;
8) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 10, comma 10, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016;
9) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021;
10) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, lettere a) e d), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021;
11) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, lettera c), numero 1), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021;
12) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera h), della legge della Regione Siciliana 18 marzo 2022, n. 2 (Disposizioni in materia di edilizia);
13) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022;
14) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere d), e) e g), e comma 2, lettere c) ed e), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, promosse, in riferimento all’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 e agli artt. 3, 9, 97 e 117, primo, secondo comma, lettere m) ed s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022;
15) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale e agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettere l) ed m), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021;
16) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettere a) e d), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 promosse, in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale e agli artt. 3, 9, 97 e 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022;
17) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, lettera c), numero 2), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, promosse, in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale e agli artt. 3, 97 e 117, primo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021;
18) dichiara non fondate, nei termini di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettere m) ed l), Cost. e all’art. 14 dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021;
19) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui, introducendo l’art. 3, comma 1, lettera i), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, sottopone al regime giuridico della comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) il ripristino di muri a secco con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettere m) ed l), Cost. e all’art. 14 dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021;
20) dichiara non fondate, nei termini di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera p), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 9 Cost. e 14 dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021;
21) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 5, lettera d), numeri 1), 4), 5) e 6), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, commi primo e secondo, lettera s), Cost. e all’art. 14 dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021;
22) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117, primo comma, Cost. e all’art. 14 dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 33 reg. ric. 2022;
23) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, promosse, in riferimento agli artt. 3 Cost. e 14 dello statuto speciale, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 20 febbraio 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2023.