SENTENZA N. 255
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Daria de PRETIS
Giudici: Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, commi 3, 19, 25, 26 e 29; 6, comma 32; 20, comma 1; e 35 comma 5, della legge della Regione Sardegna 22 novembre 2021, n. 17 (Disposizioni di carattere istituzionale-finanziario e in materia di sviluppo economico e sociale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24 gennaio 2022, depositato in cancelleria il 27 gennaio 2022, iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 22 novembre 2022 il Giudice relatore Angelo Buscema;
uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Mattia Pani e Giovanni Parisi per la Regione autonoma Sardegna;
deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso iscritto al registro ricorsi n. 12 del 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di vari articoli della legge della Regione Sardegna 22 novembre 2021, n. 17 (Disposizioni di carattere istituzionale-finanziario e in materia di sviluppo economico e sociale). Tra questi, sono ora all’esame di questa Corte quelle concernenti gli artt. 5, commi 3, 19, 25, 26 e 29; 6, comma 32; 20, comma l; e 35, comma 5, della stessa legge.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in primo luogo, l’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione agli artt. 19 e 28 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e dell’art. 3, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
Sostiene l’Avvocatura generale dello Stato che la disposizione impugnata prevederebbe requisiti di accesso alla dirigenza non conformi al quadro regolativo nazionale disciplinato dagli artt. 19 e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001, perché sostituirebbe il requisito del titolo di studio della laurea, previsto dai parametri indicati per il suddetto accesso, con quello della mera anzianità di servizio.
In tal modo, la normativa regionale, che non sarebbe riconducibile a profili di autonomia organizzativa della Regione, si porrebbe in contrasto con la disciplina ordinamentale e con i principi di cui agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e 97 Cost. (è citata la sentenza di questa Corte n. 324 del 2010).
L’art. 5, comma 3, violerebbe anche l’art. 3 dello statuto speciale per la Sardegna il quale, pur se alla lettera a) prevede una competenza legislativa esclusiva della Regione nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale», limiterebbe tale competenza entro i confini della Costituzione e dei principi dell’ordinamento giuridico nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato altresì l’art. 5, comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, per violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., nonché dell’art. 119 Cost. (in riferimento all’autonomia finanziaria degli enti territoriali), in relazione all’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».
L’art. 5, comma 19, prevede, nel comparto della contrattazione collettiva regionale, l’applicazione dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante «Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia», convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2021, n. 113. L’indicata norma interposta ha introdotto la possibilità di superare i limiti di spesa relativi al trattamento economico accessorio previsti dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, secondo criteri e modalità da definire nell’ambito dei contratti collettivi nazionali di lavoro, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalità.
La Regione – ad avviso del ricorrente – con la disposizione impugnata non avrebbe potuto superare i limiti previsti dal d.lgs. n. 75 del 2017, essendo solo programmatoria la previsione contenuta nell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito. I nuovi limiti al trattamento economico accessorio, difatti, sarebbero stati disciplinati con l’art. 1, comma 604, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024).
Essendo quest’ultima legge entrata in vigore in un momento successivo rispetto alla disposizione impugnata, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale regionale, anche di livello dirigenziale, non avrebbe potuto superare il limite posto dal precedente art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.
1.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., con specifico riguardo alla materia «ordinamento civile», in relazione all’art. 30, commi 1 e 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001 e all’art. 3 dello statuto speciale.
La disposizione impugnata, al fine di rafforzare l’organico regionale, anche in relazione alle necessità determinate dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, e in applicazione dell’art. 38-bis della legge della Regione Sardegna 13 novembre 1998, n. 31 (Disciplina del personale regionale e dell’organizzazione degli uffici della Regione), stabilisce che il personale con contratto a tempo indeterminato che abbia prestato servizio, negli ultimi cinque anni, presso il sistema Regione in posizione di comando o in assegnazione temporanea, anche attraverso i progetti di cui alla deliberazione della Giunta regionale 18 gennaio 2005, n. 1/11, può transitare, a seguito di apposita domanda, nell’amministrazione regionale mediante cessione di contratto, previo nulla osta dell’amministrazione di provenienza.
Il riferimento all’istituto della cessione del contratto come strumento di mobilità violerebbe, ad avviso del ricorrente, i principi in materia di accesso agli impieghi pubblici posto che, sul punto, occorrerebbe tener conto della speciale disciplina dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001. La disposizione regionale, attraverso l’espresso riferimento all’art. 38-bis della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, prevederebbe, per la mobilità, il previo rilascio del nulla osta dell’amministrazione di appartenenza. Nulla osta che non sarebbe più previsto in via generalizzata dalla disciplina statale, a seguito della modifica dell’art. 30 del d.lgs. 165 del 2001 operata dall’art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito.
L’art. 38-bis della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998 – richiamato dalla norma impugnata – al comma 5 prevede inoltre che al personale trasferito in mobilità, nel caso di attribuzione del livello economico di valore pari o immediatamente inferiore a quello posseduto nell’ente di provenienza, sia riconosciuto «un assegno personale riassorbibile atto a garantire l’importo del trattamento economico fisso e continuativo annuo in godimento». Questa previsione sarebbe difforme dal dettato dell’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo il quale, invece, «salvo diversa previsione […] al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione».
Tale contrasto determinerebbe, come detto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 per violazione della competenza legislativa statale nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La disposizione impugnata contrasterebbe anche con l’art. 3, lettera a), dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli uffici e di stato giuridico ed economico del proprio personale, ma che, al tempo stesso, individua come limiti le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, tra cui quelli contenuti nel d.lgs. n. 165 del 2001, che la Regione sarebbe quindi tenuta a rispettare.
1.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato altresì l’art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 e all’art. 3 dello statuto speciale.
L’art. 5, comma 26, prevede la possibilità di prorogare, fino a un massimo di due anni e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, gli incarichi dirigenziali a tempo determinato attribuiti con procedure ad evidenza pubblica nel sistema Regione, ai sensi dell’art. 29 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, secondo le direttive impartite dall’assessore competente.
La disposizione impugnata, nel prevedere la facoltà di prorogare l’incarico dirigenziale a tempo determinato fino a due anni, disciplinerebbe la durata dell’incarico in modo contrastante con il dettato della norma interposta individuata nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001.
La disciplina della fase costitutiva del contratto di incarico dirigenziale, così come quella del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico, rientrerebbero nell’ambito della materia dell’ordinamento civile, attribuita alla competenza legislativa esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Ciò comporterebbe la violazione del parametro costituzionale indicato e dell’art. 3, lettera a), dello statuto di autonomia, in quanto la disposizione impugnata avrebbe travalicato le attribuzioni statutarie.
L’art. 5, comma 26, è impugnato anche in quanto prevederebbe la proroga degli incarichi dirigenziali sulla base di direttive impartite dall’assessore competente. Tale previsione, ad avviso del ricorrente, sarebbe in contrasto con il principio della separazione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e quelle di gestione amministrativa, principio di carattere generale che troverebbe il suo fondamento nell’art. 97 Cost.
Gli atti inerenti all’instaurazione e alla gestione dei rapporti di lavoro, tra cui anche il provvedimento amministrativo di rinnovo di un incarico di livello dirigenziale, sarebbero, secondo l’Avvocatura generale, riconducibili alle attribuzioni proprie delle figure di vertice dirigenziale degli enti e, come tali, sottratti alla competenza degli organi di indirizzo politico.
Il legislatore regionale avrebbe compiuto una scelta in contrasto con il principio di separazione tra politica e amministrazione, che si tradurrebbe in una lesione dell’imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
1.6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha inoltre impugnato l’art. 5, comma 29, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione agli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, e all’art. 3 dello statuto speciale di autonomia.
La disposizione regionale impugnata, al fine di dare attuazione ai commi 4-ter e 4-quater dell’art. 58 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998 (introdotti dall’art. 5, comma 28, lettera a, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021) e di istituire un’indennità pensionabile in analogia all’indennità di specificità organizzativa percepita dal personale della protezione civile nazionale, riconosciuta dall’art. 18 del contratto collettivo integrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, sottoscritto il 15 settembre 2004, autorizza, ai sensi dell’art. 62 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, l’ulteriore spesa di euro 285.840 per l’anno 2021 e di euro 1.143.360 annui a decorrere dall’anno 2022 (missione 01 - programma 10 - titolo 1).
L’art. 5, comma 29, disporrebbe, quindi, un incremento delle risorse destinate alla contrattazione collettiva regionale per dare attuazione alle previsioni, pure contenute nella legge regionale in esame, che dispongono, per il personale della direzione generale della protezione civile, la costituzione di una autonoma e separata area di contrattazione all’interno del comparto e stabiliscono una disciplina specifica per le figure professionali di altre direzioni generali dell’amministrazione regionale o del sistema Regione che concorrono allo svolgimento delle attività previste nel piano regionale per la protezione civile.
La disciplina del trattamento economico e giuridico del pubblico impiego regionale sarebbe riconducibile alla materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (sono citate le sentenze di questa Corte n. 273 del 2020, n. 175 e n. 160 del 2017); per tale motivo, sarebbe precluso alle regioni adottare una normativa che incida su un rapporto di lavoro già sorto e che, nel regolarne il trattamento giuridico ed economico, si sostituisca alla contrattazione collettiva, fonte imprescindibile di disciplina (sono citate le sentenze di questa Corte n. 20 del 2021 e n. 199 del 2020).
La previsione di un’indennità pensionabile per il predetto personale e il relativo finanziamento, con un intervento in materia riservata alla contrattazione collettiva, si porrebbe in contrasto con il principio generale secondo cui, a seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni è disciplinato dal codice civile e dalla contrattazione collettiva, cui la legge dello Stato rinvia.
In particolare, la disposizione regionale impugnata sarebbe in contrasto con gli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, i quali stabiliscono che i rapporti individuali di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono regolati contrattualmente e che il trattamento economico fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi. Tale disciplina costituirebbe norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica e detterebbe princìpi che si configurerebbero come «tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati, princìpi che si impongono anche alle Regioni a statuto speciale» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 189 del 2007 e n. 81 del 2019).
Il contrasto con dette norme comporterebbe, come detto, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost e dell’art. 3 dello statuto di autonomia.
1.7.– L’Avvocatura generale dello Stato ha impugnato altresì l’art. 6, comma 32, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, e all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale.
L’art. 6, comma 32, dispone che «[l]a validità delle graduatorie relative alle procedure selettive per il reclutamento di personale a tempo determinato e indeterminato, pubblicate dalle aziende ospedaliere, dalle aziende ospedaliere universitarie della Sardegna e dalle amministrazioni del sistema Regione, è prorogata al 31 dicembre 2022».
Il ricorrente, pur rammentando la giurisprudenza costituzionale secondo cui spetta al legislatore regionale la competenza legislativa afferente alla disciplina delle graduatorie (sono richiamate le sentenze n. 341 del 2009, n. 133 del 2010, n. 115 e n. 187 del 2012 e n. 125 del 2015 e n. 241 del 2018), sostiene che tale competenza non potrebbe, tuttavia, ritenersi svincolata dal rispetto dai limiti scaturenti dai principi costituzionali di buon andamento, imparzialità e ragionevolezza (è richiamata anche la sentenza n. 126 del 2020).
Lo scorrimento delle graduatorie ancora valide sarebbe assoggettato a quelle limitazioni idonee a renderlo compatibile con i princìpi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione. Tali canoni consentirebbero di ricorrere allo scorrimento delle graduatorie solo quando vi sarebbe corrispondenza tra il profilo e la qualifica professionale del posto che si intende coprire e il profilo e la categoria professionale per i quali si è bandito il concorso conclusosi con l’approvazione delle graduatorie. Non potrebbe essere previsto lo scorrimento per posti di nuova istituzione o frutto di trasformazione, per evitare rimodulazioni dell’organico in contrasto con il principio di imparzialità prescritto dalla Costituzione.
Il principio di buon andamento precluderebbe, inoltre, la possibilità di scorrimento delle graduatorie quando sia mutato il contenuto professionale delle mansioni tipiche del profilo che si intende acquisire o quando, per il tempo trascorso o per le modifiche sostanziali nel frattempo introdotte nelle prove di esame e nei requisiti di partecipazione dei concorrenti, la graduatoria già approvata rispecchi una valutazione attendibile dell’idoneità dei concorrenti e della qualificazione professionale necessaria per ricoprire l’incarico.
Evidenzia il ricorrente che il personale assunto dagli enti locali o dalle regioni, può, alla luce della disciplina introdotta con l’art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, fruire, senza vincoli di autorizzazione, della più ampia mobilità verso le pubbliche amministrazioni. Tale circostanza richiederebbe che il personale venga reclutato attraverso procedure in grado di garantire il più alto livello di omogeneità, per raggiungere il quale anche l’attualità della selezione effettuata costituirebbe un ineludibile passaggio. Ne conseguirebbe che il reclutamento del personale dovrebbe avvenire entro tempi ragionevolmente brevi rispetto al momento in cui è stata svolta la selezione, affinché la stessa sia rispondente ai requisiti previsti dal quadro ordinamentale di riferimento.
La disposizione regionale impugnata, al contrario, prevedendo la validità fino al 31 dicembre 2022 delle graduatorie relative alle procedure selettive per il reclutamento di personale a tempo determinato e indeterminato delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliere universitarie della Sardegna e delle amministrazioni del sistema Regione senza tenere in alcun conto di quanto sopra evidenziato, si porrebbe in contrasto con i principi di cui agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. e delle norme statutarie richiamate.
1.8.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, inoltre, impugnato l’art. 20, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, lamentando la violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
Il comma 1 dell’art. 20 della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 apporta modifiche alla legge della Regione Sardegna 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale) in materia di esecuzione dei provvedimenti di demolizione e rimessione in pristino, autorizzando l’amministrazione regionale a concedere un’anticipazione delle spese ai comuni tenuti a eseguire i provvedimenti di demolizione o di rimessione in pristino. Tale disposizione consentirebbe ai comuni di iniziare il procedimento di recupero delle spese sostenute dal trasgressore entro un anno dall’esecuzione della demolizione e di concluderlo entro cinque anni, salvo proroga per giustificati motivi, da chiedere all’amministrazione regionale prima della scadenza del termine. Le somme recuperate verrebbero restituite all’amministrazione regionale che le ha anticipate senza interessi. Inoltre, la restituzione di quanto anticipato dalla Regione non avverrebbe nello stesso esercizio nel quale viene concessa. Tale operazione, secondo il ricorrente, non potrebbe quindi essere configurata come anticipazione, trattandosi di un prestito.
Il meccanismo previsto dalla disposizione impugnata, non quantificando e non prevedendo la copertura degli oneri a carico del bilancio regionale si porrebbe in contrasto con l’art. 81, terzo comma, Cost.
1.9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, infine, impugnato l’art. 35, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito con modificazioni nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, nonché per violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, deducendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
2.1.– Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la Regione chiede che sia dichiarata non fondata.
Il comma 3 dell’art. 5 riguarderebbe il personale regionale transitato mediante progressione “verticale” nella categoria per la quale è previsto, per l’accesso dall’esterno, il diploma di laurea a norma dell’art. 1, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 18 del 2017. Quest’ultimo prevederebbe, tra i requisiti per poter effettuare la predetta progressione, anche quello del possesso del diploma di laurea.
La disposizione censurata in argomento, pertanto, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non sostituirebbe il requisito culturale con quello professionale, ma si limiterebbe a riconoscere al suddetto personale l’anzianità nella categoria di provenienza ai fini dell’ammissione alle procedure di accesso alla dirigenza di cui all’art. 32 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998.
Sostiene la difesa regionale che il comma 3 dell’art. 5 della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 non introdurrebbe, quindi, alcuna deroga ai requisiti culturali minimi per l’accesso alla qualifica dirigenziale previsti a livello nazionale dall’art. 28 del d.lgs. n. 165 del 2001. L’art. 32, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, nello stabilire i requisiti per l’ammissione alle procedure per l’accesso alla qualifica dirigenziale, prevederebbe infatti, quale requisito culturale, il diploma di laurea, come previsto dalla legislazione nazionale vigente, e, quale requisito professionale, l’anzianità di servizio.
La disposizione impugnata interverrebbe unicamente su quest’ultimo requisito, considerando utile l’anzianità già maturata in qualifiche per le quali sarebbe comunque richiesto il possesso del diploma di laurea.
Inoltre, la disposizione censurata interverrebbe sui requisiti necessari per l’accesso ad un nuovo rapporto, quello dirigenziale, e non sulla regolamentazione di un rapporto di lavoro in essere, sicché la materia interessata non sarebbe quella dell’«ordinamento civile» bensì quella dell’organizzazione del personale e degli uffici regionali. Ne conseguirebbe l’assenza della prospettata lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Sul punto la Regione richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui «la stessa legislazione statale in materia di ordinamento della dirigenza non esclude una, seppur ridotta, competenza normativa regionale in materia, dal momento che anzi prevede espressamente che “le Regioni a statuto ordinario, nell’esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare (...) adeguano ai principi dell’art. 4 e del presente Capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità (...)” (art. 27, primo comma, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 […])» (è citata la sentenza n. 2 del 2004).
Dunque, il legislatore regionale si sarebbe mosso nel solco delle proprie prerogative statutarie inerenti all’ordinamento degli uffici e stato giuridico ed economico del personale di cui alla lettera a) dell’art. 3 dello statuto di autonomia, incidendo in un ambito nel quale la stessa legge statale assegnerebbe alle Regioni propri spazi di autonomia.
La difesa regionale eccepisce poi l’inammissibilità della censura posta in riferimento all’art. 97 Cost., essendo la stessa meramente assertiva e priva di argomentazione.
2.2.– La difesa regionale eccepisce l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 essendo soltanto prospettato il vulnus ai parametri costituzionali asseritamente lesi. In ogni caso, ritiene la doglianza non fondata nel merito.
La disposizione regionale disporrebbe, nell’ambito del comparto di contrattazione regionale, l’applicazione dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, alle risorse costituenti economie di spesa derivanti dalla retribuzione individuale di anzianità (RIA) del personale cessato. Si tratterebbe di risorse già destinate dalla contrattazione collettiva al fondo per la retribuzione di rendimento e al fondo per le progressioni professionali la cui spendita sarebbe stata, tuttavia, limitata dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.
La normativa regionale non genererebbe, quindi, una maggiore spesa e non configurerebbe la violazione dei principi in materia di coordinamento della finanza pubblica.
Inconferente sarebbe, poi, il richiamo all’art. 119 Cost. che, nell’affermare il principio dell’autonomia finanziaria delle Regioni nel rispetto dell’equilibrio di bilancio, non osterebbe a che determinate risorse vengano destinate ad una specifica finalità – nella fattispecie, il trattamento economico accessorio oggetto di contrattazione collettiva – allorché le stesse siano dotate di adeguata copertura finanziaria e non comportino maggiori spese.
La difesa regionale non condivide, inoltre, la tesi dell’Avvocatura generale secondo cui l’art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, sarebbe non immediatamente applicabile e meramente “programmatico”, in quanto tale disposizione consentirebbe di superare i limiti stabiliti dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi della finanza pubblica e a condizione che siano rispettati i criteri definiti dalla contrattazione collettiva nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalità.
La disposizione impugnata, afferma la difesa regionale, avrebbe rispettato tali condizionalità per cui non sussisterebbe la lesione lamentata dal ricorrente.
2.3.– In merito alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, la Regione eccepisce innanzitutto l’inammissibilità della censura ritenendo che essa sia stata formulata in termini dubitativi.
La questione sarebbe comunque non fondata in quanto, con riguardo alla previsione del rilascio del nulla osta da parte dell’amministrazione di provenienza, potrebbe essere data una lettura della disposizione impugnata conforme all’invocato parametro interposto di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede il rilascio del nulla osta in presenza di situazioni specifiche.
L’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevederebbe, difatti, che, «nel caso in cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili dall’amministrazione cedente o di personale assunto da meno di tre anni o qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente», il passaggio in mobilità sarebbe comunque subordinato all’assenso dell’ente di originaria appartenenza.
Quanto, invece, alla censura inerente al trattamento economico del dipendente trasferito, la Regione sostiene che l’art. 38-bis, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, cui l’impugnato comma 25 dell’art. 5 fa dichiarato riferimento, non sarebbe in contrasto con la disposizione statale. Quest’ultima prevederebbe, difatti, che al dipendente trasferito si applichi «esclusivamente», e, «salvo diversa previsione», il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto dal contratto collettivo vigente nel comparto dell’ente di destinazione. Dunque, il rapporto di lavoro del personale trasferito per mobilità troverebbe la sua regolamentazione unicamente nel contratto collettivo applicato nell’amministrazione di destinazione, salvo specifica diversa previsione.
L’art. 38-bis, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, nel disporre che il nuovo datore di lavoro «applica il trattamento giuridico ed economico previsto nel contratto collettivo del proprio personale», sarebbe, ad avviso della Regione, conforme al dettato normativo statale, limitandosi a prevedere il divieto della reformatio in peius del trattamento economico acquisito.
Per tale motivo sarebbe non fondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione impugnata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Inoltre, la Regione avrebbe esercitato la propria competenza legislativa in materia di ordinamento degli uffici e di stato giuridico ed economico del personale in linea con quanto previsto dallo statuto di autonomia e pertanto non sarebbe configurabile neppure la lesione del parametro statutario.
2.4.– Quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, la difesa regionale asserisce che la disposizione impugnata consentirebbe di prorogare di due anni gli incarichi dirigenziali non apicali con durata non superiore al quinquennio, attribuiti ai sensi dell’art. 29, comma 4-bis, della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, come previsto dall’art. 28, comma 7, della medesima legge reg. Sardegna n. 31 del 1998. Tali incarichi, inerenti alle funzioni di direttore di servizio e di direttore di unità di progetto, sarebbero stati conferiti, per la durata di tre anni, ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, esplicitamente richiamato dal citato art. 29 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998.
La proroga per ulteriori due anni non sarebbe in contrasto con quanto stabilito dalla legge statale, in quanto complessivamente verrebbe mantenuta la durata degli incarichi entro il lasso di tempo massimo (cinque anni) stabilito dal medesimo art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001. Ciò escluderebbe il paventato contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Quanto alla asserita violazione dell’art. 97 Cost., la difesa regionale ne eccepisce l’inammissibilità per genericità, limitandosi il ricorrente a invocare il principio di separazione tra la funzione politica e quella di gestione amministrativa, senza fornire spiegazioni circa la lesione di detto principio da parte della disposizione regionale impugnata.
Inoltre, l’art. 5, comma 26, si limiterebbe a prevedere che l’eventuale proroga dell’incarico dirigenziale venga disposta «secondo le direttive dell’Assessore competente», senza, quindi, che vi sia ingerenza diretta di tale organo sullo specifico atto di proroga. Le predette direttive si limiterebbero, difatti, a definire “a monte” la cornice entro la quale potrebbe essere operata la proroga.
Ad avviso della difesa regionale, oltretutto, anche la normativa statale prevederebbe che gli incarichi dei dirigenti apicali e quelli di livello dirigenziale generale vengano conferiti con provvedimento dell’organo politico, per cui la previsione regionale non sarebbe di per sé foriera di danno al buon funzionamento della pubblica amministrazione.
Aggiunge, inoltre, la Regione che la separazione tra attività di indirizzo politico e attività gestionale sarebbe un principio privo di precisi confini o limiti che lascerebbe margini di discrezionalità decisionale al legislatore regionale, incontrando il solo limite della ragionevolezza. Nel caso di specie, tuttavia, non sarebbe dimostrata né l’irragionevolezza della scelta legislativa, né l’asserita lesione del principio di imparzialità della pubblica amministrazione, per cui non sarebbe ravvisabile il contrasto con l’art. 97 Cost.
2.5.– Quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 29, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, sostiene la difesa regionale che tale disposizione si limiterebbe ad assicurare la copertura finanziaria per l’ipotesi in cui venga istituita un’indennità pensionabile «in analogia all’indennità di specificità organizzativa percepita dal personale della Protezione civile nazionale, riconosciuta dall’art. 18 del contratto integrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri sottoscritto il 15 settembre 2004» nell’ambito della contrattazione collettiva regionale inerente al personale deputato allo svolgimento di compiti di protezione civile.
Non sarebbe riscontrabile la prospettata invasione della competenza legislativa dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto l’indennità di che trattasi non sarebbe istituita dal comma 29 dell’art. 5 impugnato, che si limiterebbe a disporre la provvista finanziaria.
Inoltre, ad avviso della difesa regionale, la censura sollevata in riferimento all’art. 97 Cost. sarebbe inammissibile, atteso che il parametro costituzionale sarebbe stato solo menzionato, ma non sviluppato nei motivi di impugnazione, e non sarebbe neppure citato nella deliberazione del Consiglio dei ministri di proposizione del ricorso.
2.6.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 32, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. sarebbe inammissibile in quanto promossa in modo contraddittorio e senza adeguata motivazione.
Il ricorso, pur lamentando la violazione di detto parametro costituzionale, ammetterebbe che la disciplina delle graduatorie inerenti a concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni rientra a pieno titolo nella competenza legislativa regionale residuale in materia di organizzazione amministrativa e del personale.
La censura sarebbe, poi, inammissibile perché sindacherebbe il merito delle scelte del legislatore regionale sardo che gode di discrezionalità nell’esercizio della propria competenza legislativa residuale.
La scelta di prorogare le graduatorie vigenti sarebbe stata determinata dal fatto che l’emergenza sanitaria negli anni 2020-2021 avrebbe provocato dapprima una sospensione e poi un considerevole rallentamento nell’espletamento delle procedure concorsuali, con conseguente ritardo nell’acquisizione di personale da assegnare alle aziende sanitarie ed evidenti criticità e disfunzioni soprattutto nelle zone periferiche della Regione, esposta ad un’endemica carenza di personale medico indispensabile.
Le censure proposte dal ricorrente sarebbero inammissibili anche con riguardo alla paventata violazione dell’art. 97 Cost. Ciò in quanto la Regione, nel periodo considerato, avrebbe incontrato difficoltà anche nell’individuazione delle figure professionali amministrative necessarie per l’indizione dei concorsi (quali i segretari e il comitato di vigilanza), nel reperimento di locali idonei allo svolgimento delle prove selettive, e altre criticità di carattere tecnico. Difficoltà si sarebbero riscontrate, altresì, nella fase riguardante la nomina dei componenti delle commissioni esaminatrici, in quanto quelli nominati avrebbero rifiutato l’incarico sia per ragioni organizzative aziendali, sia per l’appartenenza della Regione alle cosiddette “zone rosse” pandemiche.
La proroga delle graduatorie vigenti sarebbe stata dunque necessaria onde permettere il reclutamento del personale, ovviare all’emergenza in atto e rispondere proprio al principio di buon andamento della amministrazione pubblica.
2.7.– Con riguardo alle censure sollevate nei confronti dell’art. 20, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, la difesa regionale ne eccepisce l’irricevibilità, l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza.
Rappresenta che già nella norma precedentemente vigente – il comma 3-bis dell’art. 15 della legge reg. Sardegna n. 45 del 1989, come modificato dall’art. 1, comma 17, della legge della Regione Sardegna 22 aprile 2002, n. 7, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge finanziaria 2002)», mai impugnato dallo Stato – era prevista la possibilità per l’amministrazione regionale di anticipare le spese relative all’esecuzione delle ordinanze di demolizione di opere eseguite in violazione della disciplina urbanistica. Da ciò conseguirebbe la tardività e quindi l’irricevibilità della censura perché i rilievi statali si riferirebbero a un aspetto, l’omessa indicazione della copertura finanziaria a sostegno dell’intervento, che mai era stato oggetto di contestazione nella precedente normativa regionale, la quale nulla disponeva in ordine all’aspetto finanziario.
Da tale presupposto deriverebbe l’inammissibilità della censura per carenza di interesse, in quanto la disposizione in esame non innoverebbe il panorama legislativo regionale esistente, ma confermerebbe un pregresso strumento al servizio degli enti locali finalizzato ad assicurare il preminente interesse alla salvaguardia ambientale in presenza di abusi accertati e non più contestabili, che necessiterebbero di un immediato intervento per il pronto ripristino dello stato dei luoghi.
La disposizione impugnata prevede l’anticipazione agli enti locali – che sarebbero tenuti ad eseguire i provvedimenti di demolizione o di rimessione in pristino – delle spese sostenute che, in ipotesi di mancato recupero a carico del privato, graverebbero sul complessivo assetto finanziario regionale e degli enti locali sardi.
L’intervento regionale sarebbe, quindi, finalizzato ad evitare un vulnus nei bilanci degli enti locali garantendo nel contempo la tutela del territorio e l’equilibrio della finanza locale, per cui non potrebbe ravvisarsi la violazione del parametro costituzionale evocato dal ricorrente.
3.– In prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, ribadendo integralmente le deduzioni svolte con il ricorso e replicando sinteticamente alle osservazioni formulate dalla Regione autonoma Sardegna con l’atto di costituzione in ordine alle questioni promosse.
4.– Con memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, la resistente ha sostanzialmente ribadito difese ed eccezioni precedentemente formulate.
5.– Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, la Regione, avendo ravvisato l’esigenza di intervenire con modifiche o con l’eventuale abrogazione della disposizione al fine di poter eliminare le criticità dalle quali è scaturito il ricorso statale, con istanza del 15 novembre 2022 ha chiesto il rinvio della trattazione della questione; a tale richiesta ha aderito l’Avvocatura generale dello Stato.
5.1.– Con decreto del Presidente della Corte costituzionale del 16 novembre 2022 è stata rinviata a nuovo ruolo la discussione del giudizio iscritto al n. 12 del registro ricorsi del 2022, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso iscritto al registro ricorsi n. 12 del 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021.
Riservata a separate pronunce la decisione delle altre impugnative promosse con il ricorso indicato, vanno esaminate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, commi 3, 19, 25, 26 e 29; 6, comma 32; 20, comma l, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021.
1.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione agli artt. 19 e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001, e dell’art. 3, lettera a), dello statuto speciale.
La disposizione impugnata, secondo il ricorrente, prevederebbe requisiti di accesso alla dirigenza non conformi al quadro regolativo nazionale disciplinato dagli artt. 19 e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001, in quanto sostituirebbe il requisito del titolo di studio della laurea con quello della mera anzianità di servizio. In tal modo la disposizione impugnata, che non sarebbe riconducibile a profili di autonomia organizzativa della Regione, si porrebbe in contrasto con la disciplina ordinamentale e con i principi di cui agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e 97 Cost.
L’art. 5, comma 3, violerebbe anche l’art. 3 dello statuto speciale, il quale stabilisce che «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: a) ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale; […]», perché, nell’esercizio della sua competenza legislativa in materia «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale», non rispetterebbe i limiti previsti dallo statuto medesimo.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato altresì l’art. 5, comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, per violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, nonché dell’art. 119 Cost.
L’art. 5, comma 19, prevede l’applicazione – nel comparto della contrattazione collettiva regionale – dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, che ha introdotto la possibilità di superare i limiti di spesa relativi al trattamento economico accessorio, di cui all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, secondo criteri e modalità da definire nell’ambito dei contratti collettivi nazionali di lavoro, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalità.
Sostiene il ricorrente che la previsione contenuta nell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, avrebbe carattere solamente programmatorio: i nuovi limiti al trattamento economico accessorio sarebbero stati, infatti, disciplinati successivamente con l’art. 1, comma 604, della legge n. 234 del 2021.
La disposizione regionale, quindi, prevedendo il superamento dei limiti di spesa di cui al d.lgs. n. 75 del 2017 prima dell’emanazione del sopra indicato art. 1, comma 604, della legge n. 234 del 2021 e stabilendone essa stessa criteri e modalità, si porrebbe in contrasto con il principio di coordinamento della finanza pubblica sancito dall’art. 117, terzo comma, Cost., violando, altresì, l’autonomia finanziaria degli enti territoriali riconosciuta dall’art. 119 Cost.
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il medesimo ricorso, ha impugnato l’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., con specifico riguardo alla materia «ordinamento civile», in relazione all’art. 30, commi 1 e 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001, e all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale.
La disposizione impugnata, per rafforzare l’organico regionale, anche in relazione alle necessità determinate dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, e in applicazione dell’art. 38-bis della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, stabilisce che il personale con contratto a tempo indeterminato che abbia prestato servizio, negli ultimi cinque anni, presso il sistema Regione in posizione di comando o in assegnazione temporanea, anche attraverso i progetti di cui alla deliberazione della Giunta regionale. 18 gennaio 2005, n. 1/11, può transitare, a seguito di apposita domanda, nell’amministrazione regionale mediante cessione di contratto, previo nulla osta dell’amministrazione di provenienza.
Il riferimento all’istituto della cessione del contratto come strumento di mobilità violerebbe, ad avviso del ricorrente, i principi in materia di accesso agli impieghi pubblici posto che, sul punto, occorrerebbe tener conto della speciale disciplina dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001. La disposizione regionale, attraverso l’espresso riferimento all’art. 38-bis della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, prevederebbe invece il previo rilascio da parte dell’amministrazione di appartenenza del relativo nulla osta; quest’ultimo non più previsto in via generalizzata dalla disciplina statale, a seguito della modifica dell’art. 30 del d.lgs. 165 del 2001 operata dall’art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito.
L’art. 38-bis della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998 – richiamato dalla norma impugnata – al comma 5 prevede inoltre che, nel caso di attribuzione del livello economico di valore pari o immediatamente inferiore a quello posseduto nell’ente di provenienza, sia riconosciuto «un assegno personale riassorbibile atto a garantire l’importo del trattamento economico fisso e continuativo annuo in godimento». Detta previsione sarebbe difforme dal dettato dell’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo il quale, invece, «salvo diversa previsione […] al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione».
Tale contrasto determinerebbe l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 per violazione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La disposizione impugnata contrasterebbe anche con l’art. 3, lettera a), dello statuto della Regione autonoma Sardegna, in quanto, nell’esercizio delle proprie prerogative, la Regione non rispetterebbe i limiti dettati dal d.lgs. n. 165 del 2001, che costituirebbero norme fondamentali di riforme economico-sociali della Repubblica.
1.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, altresì, impugnato l’art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 e all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale.
La disposizione regionale, nel prevedere la facoltà di prorogare gli incarichi dirigenziali fino a due anni, si porrebbe in contrasto con l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001. La disciplina degli incarichi dirigenziali rientrerebbe, secondo il ricorrente, nella materia «ordinamento civile» di competenza legislativa esclusiva statale, per cui la predetta disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Inoltre, l’impugnato art. 5, comma 26, prevederebbe la proroga degli incarichi dirigenziali sulla base delle direttive impartite dall’assessore competente, previsione che, ad avviso del ricorrente, sarebbe in contrasto con il principio della separazione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e quelle di gestione amministrativa, principio di carattere generale che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost.
1.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì impugnato l’art. 5, comma 29, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. e all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale, in relazione agli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001.
La disposizione regionale impugnata dà attuazione alle disposizioni previste dai commi 4-ter (che prevede una autonoma e separata area di contrattazione all’interno del comparto) e 4-quater (che prevede specifiche discipline nell’ambito dei contratti di comparto per le figure professionali dell’amministrazione regionale o del sistema Regione che concorrono allo svolgimento delle attività di protezione civile) dell’art. 58 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, introdotti dalla legge reg. Sardegna n. 17 del 2021. In particolare, detta disposizione istituisce un’indennità pensionabile in analogia all’indennità di specificità organizzativa percepita dal personale della protezione civile nazionale e, a tal fine, autorizza, ai sensi dell’art. 62 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, l’ulteriore spesa di euro 285.840 per il 2021 e di euro 1.143.360 annui a decorrere dal 2022 (missione 01 - programma 10 - titolo 1).
L’istituzione di un’indennità pensionabile per il predetto personale e il relativo finanziamento, intervenendo in una materia riservata alla contrattazione collettiva, si porrebbe in contrasto con il principio generale secondo cui, a seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni è disciplinato dal codice civile e dalla contrattazione collettiva, cui la legge dello Stato rinvia.
La disciplina del trattamento economico e giuridico del pubblico impiego regionale sarebbe riconducibile alla materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Sarebbe quindi preclusa alle regioni, secondo il ricorrente, l’adozione di una normativa che incida su un rapporto di lavoro già sorto sostituendosi alla contrattazione collettiva, fonte imprescindibile di disciplina.
La disposizione regionale impugnata sarebbe in contrasto con gli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, da considerarsi quali norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica. Il contrasto con dette norme comporterebbe la violazione anche dell’art. 3, lettera a), dello statuto di autonomia.
1.6.– L’Avvocatura generale dello Stato ha impugnato anche l’art. 6, comma 32, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. e all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale, in relazione all’art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito.
L’art. 6, comma 32, dispone che «[l]a validità delle graduatorie relative alle procedure selettive per il reclutamento di personale a tempo determinato e indeterminato, pubblicate dalle aziende ospedaliere, dalle aziende ospedaliere universitarie della Sardegna e dalle amministrazioni del sistema Regione, è prorogata al 31 dicembre 2022».
Sostiene il ricorrente che lo scorrimento delle graduatorie indicate sarebbe possibile solo quando vi sia corrispondenza tra il profilo e la qualifica professionale del posto che si intende coprire e il profilo e la categoria professionale per i quali si è bandito il concorso poi concluso con l’approvazione delle graduatorie e sarebbe assoggettato a limitazioni idonee a renderlo compatibile con i princìpi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione. Non potrebbe essere previsto lo scorrimento per posti di nuova istituzione o frutto di trasformazione, per evitare rimodulazioni dell’organico in potenziale contrasto con i princìpi di imparzialità prescritti dalla Costituzione.
La disposizione regionale impugnata, prevedendo la validità fino al 31 dicembre 2022 delle predette graduatorie, si porrebbe in contrasto con gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. e con la norma statutaria più volte richiamata.
1.7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 20, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost.
Il comma 1 dell’art. 20 della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 apporta modifiche alla legge reg. n. 45 del 1989 in materia di esecuzione dei provvedimenti di demolizione e rimessione in pristino autorizzando l’amministrazione regionale a concedere un’anticipazione delle spese ai comuni tenuti a eseguire i provvedimenti di demolizione o di rimessione in pristino. Tale operazione determinerebbe oneri a carico del bilancio regionale non quantificati e per i quali non sarebbe indicata la copertura finanziaria, in violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
1.8.– Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021. Con riguardo a tale questione, come detto (punti 5 e 5.1. del Ritenuto in fatto), è stato disposto lo stralcio e il rinvio a nuovo ruolo. Stante tale rinvio, si esamineranno di seguito solo le questioni riguardanti le altre disposizioni della medesima legge regionale all’esame odierno.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, deducendo l’inammissibilità e, comunque, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale promosse.
3.– In via preliminare occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 promossa in riferimento all’art. 97 Cost.
Sul punto la difesa della Regione Sardegna eccepisce un difetto di motivazione quanto alle concrete modalità della dedotta lesione.
L’eccezione è fondata.
La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 97 Cost. deve essere dichiarata inammissibile essendo la relativa censura meramente assertiva e priva di una anche minima argomentazione.
Per costante giurisprudenza costituzionale, difatti, è necessario che il ricorso in via principale contenga una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge. Questa Corte è costante nell’affermare che il ricorso in via principale non può limitarsi a indicare «le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità» (sentenza n. 450 del 2005), ma deve contenere, per superare lo scrutinio di ammissibilità, anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva (ex plurimis, sentenze n. 239, n. 135 e n. 71 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 5 del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021).
3.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 è, invece, fondata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione agli artt. 19 e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001, e all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale.
L’art. 5, comma 3, della legge regionale in esame stabilisce: «Al personale transitato ai sensi dell’articolo 1, comma 4 della legge regionale 3 agosto 2017, n. 18 (Disposizioni finanziarie e prima variazione al bilancio 2017-2019. Modifica alla legge regionale n. 5 del 2017, alla legge regionale n. 6 del 2017, alla legge regionale n. 32 del 2016 e alla legge regionale n. 12 del 2007), si applica il riconoscimento di anzianità previsto dall’articolo 87, comma terzo, della legge regionale 17 agosto 1978, n. 51 (Ordinamento degli uffici e stato giuridico del personale regionale). L’anzianità così maturata nella qualifica per l’accesso alla quale dall’esterno sia prescritto il diploma di laurea vale quale requisito di ammissione alle procedure di accesso alla dirigenza di cui all’articolo 32 della legge regionale n. 31 del 1998».
La disposizione impugnata prevede requisiti di accesso alla dirigenza non conformi al quadro regolativo nazionale disciplinato dagli artt. 19 e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001, che costituiscono parametro interposto rispetto ai precetti costituzionali invocati dal ricorrente. Infatti, essa consente al personale transitato – mediante progressione “verticale” nella qualifica apicale – di partecipare alle procedure di accesso alla dirigenza senza possedere il necessario requisito del titolo di studio della laurea, e di computare, al fine della maturazione del requisito professionale di permanenza di almeno cinque anni di servizio nell’area o categoria apicale, l’anzianità di servizio maturata in carriere non apicali.
È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui – alla luce della legislazione in materia di privatizzazione del pubblico impiego – la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici contrattualizzati – tra cui, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, sono ricompresi anche i dipendenti delle regioni – è attribuita in via esclusiva al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (in tal senso, ex plurimis, sentenze n. 190 del 2022, n. 146, n. 138 e n. 10 del 2019). Ciò comporta che le regioni non possono alterare le regole che disciplinano tali rapporti (ex multis, sentenza n. 282 del 2004).
In particolare, questa Corte ha affermato che l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 «contiene una pluralità di precetti relativi alla qualificazione professionale ed alle precedenti esperienze lavorative del soggetto esterno, alla durata massima dell’incarico (e, dunque, anche del relativo contratto di lavoro), all’indennità che – a integrazione del trattamento economico – può essere attribuita al privato, alle conseguenze del conferimento dell’incarico su un eventuale preesistente rapporto di impiego pubblico e, infine, alla percentuale massima di incarichi conferibili a soggetti esterni (il successivo comma 6-bis contiene una prescrizione in tema di modalità di calcolo di quella percentuale). Tale disciplina non riguarda, pertanto, né procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al pubblico impiego, né la scelta delle modalità di costituzione di quel rapporto giuridico. Essa, valutata nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere posseduti dal contraente privato, alla durata massima del rapporto, ad alcuni aspetti del regime economico e giuridico ed è pertanto riconducibile alla regolamentazione del particolare contratto che l’amministrazione stipula con il soggetto ad essa esterno cui conferisce l’incarico dirigenziale» (sentenza n. 324 del 2010).
L’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 non attiene, pertanto, a materie di competenza legislativa concorrente (coordinamento della finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali), bensì a quella dell’ordinamento civile di competenza legislativa esclusiva statale (ancora sentenza n. 324 del 2010).
La disposizione regionale impugnata sostituisce, in modo costituzionalmente non consentito, i requisiti di accesso alla dirigenza regionale, in tal modo violando l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina della materia «ordinamento civile», cui appartiene la definizione delle procedure e dei requisiti di accesso alla carriera dirigenziale.
Risulta violato anche l’art. 3, lettera a), dello statuto speciale, perché la disposizione impugnata esorbita dalle attribuzioni regionali, essendo la disciplina dei requisiti minimi culturali di accesso alla dirigenza non riconducibile a profili di autonomia organizzativa della Regione.
4.– Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, quanto al profilo riferito all’art. 119 Cost. (riguardo l’autonomia finanziaria della Regione), occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa regionale per carenza di motivazione.
Tale eccezione è fondata.
La censura formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, in riferimento all’art. 119 Cost., deve essere dichiarata inammissibile in quanto priva di qualunque argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale.
Questa Corte è costante nell’affermare che il ricorso in via principale deve contenere, per superare lo scrutinio di ammissibilità, anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva (ex plurimis, sentenze n. 239, n. 135 e n. 71 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 5 del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021).
4.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 è invece fondata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 23 del d.lgs. n. 75 del 2017. Detta disposizione prevede, al comma 2, che: «al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, assicurando al contempo l’invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016. A decorrere dalla predetta data l’articolo 1, comma 236, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 è abrogato. Per gli enti locali che non hanno potuto destinare nell’anno 2016 risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa a causa del mancato rispetto del patto di stabilità interno del 2015, l’ammontare complessivo delle risorse di cui al primo periodo del presente comma non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015, ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio nell’anno 2016».
L’art. 5, comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 stabilisce il superamento dei limiti di spesa relativi al trattamento economico accessorio del personale regionale, prevedendo che: «[n]el comparto della contrattazione collettiva regionale di cui all’articolo 58 delle legge regionale n. 31 del 1998, la disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 3 del decreto legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia), si applica con riferimento alle economie di spesa destinate dal contratto collettivo regionale di lavoro del triennio 2016-2018 del personale dipendente, sottoscritto il 4 dicembre 2017, al fondo per la retribuzione di rendimento e al fondo per le progressioni professionali, da attribuirsi con i criteri di selettività e merito previsti dalla contrattazione, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e a condizione che le risorse risultino correttamente conservate nel bilancio regionale con le modalità previste dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), e successive modifiche ed integrazioni».
Il comma 2 dell’art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, richiamato dalla norma impugnata prevede, a sua volta, che «[i] limiti di spesa relativi al trattamento economico accessorio di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, possono essere superati, secondo criteri e modalità da definire nell’ambito dei contratti collettivi nazionali di lavoro e nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalità».
Successivamente, con l’art. 1, comma 604, della legge n. 234 del 2021, sono stati definiti i criteri e le modalità in base ai quali è possibile incrementare le risorse destinate ai trattamenti accessori del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche. Tale disposizione stabilisce che, al fine di dare attuazione a quanto previsto dall’art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, le risorse destinate ai trattamenti accessori del personale dipendente dalle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 «possono essere incrementate, rispetto a quelle destinate a tali finalità nel 2021, con modalità e criteri stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale relativa al triennio 2019-2021 o dai provvedimenti di determinazione o autorizzazione dei medesimi trattamenti, di una misura percentuale del monte salari 2018 da determinare, per le amministrazioni statali, nei limiti di una spesa complessiva di 110,6 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022, al lordo degli oneri contributivi ai fini previdenziali e dell’imposta regionale sulle attività produttive, mediante l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze di un apposito fondo con una dotazione di pari importo e, per le restanti amministrazioni, a valere sui propri bilanci, con la medesima percentuale e i medesimi criteri previsti per il personale delle amministrazioni dello Stato, secondo gli indirizzi impartiti dai rispettivi comitati di settore ai sensi dell’articolo 47, comma 2, del predetto decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».
Il contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto funzioni centrali per il triennio 2019-2021 stabilisce, all’art. 49, che ciascuna amministrazione, per proprie esigenze organizzative o gestionali, può incrementare la parte variabile, oltre il limite di cui all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, di un importo comunque non superiore allo 0,22 per cento del monte salari dell’anno 2018.
La disposizione impugnata consente di destinare (per effetto del richiamo all’art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito) – in eccedenza rispetto ai limiti al trattamento economico accessorio previsti dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017 – le economie di spesa del contratto collettivo regionale di lavoro del triennio 2016-2018 al fondo retributivo del rendimento e/o al fondo per le progressioni professionali.
La Regione non avrebbe potuto applicare l’art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, avendo quest’ultimo soltanto carattere programmatorio e la cui attuazione è compiutamente avvenuta solo successivamente con l’art. 1, comma 604, della legge n. 234 del 2021, norma che prevede criteri e limitazioni alla predetta possibilità di superare la spesa relativa al trattamento economico accessorio.
La normativa regionale, entrata in vigore prima dell’art. 1, comma 604, della legge n. 234 del 2021, avrebbe dovuto quindi rispettare il limite di spesa posto originariamente dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.
Con riguardo al salario accessorio del personale delle amministrazioni pubbliche, è costante l’orientamento di questa Corte nel ritenere che le relative modalità e criteri di incremento, stabiliti dalla legislazione statale, sono vincolanti anche per le autonomie speciali, «poiché essi sono funzionali “a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (sentenza n. 82 del 2005, nonché sentenza n. 62 del 2017)”». In tal senso si sono espresse anche le pronunce specificamente inerenti alle autonomie speciali (sentenze n. 54 del 2014, n. 229 del 2011, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 353 del 2004) le quali affermano che i principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalla legislazione statale si applicano anche ad esse poiché «funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e a garantire l’unità economica della Repubblica (sentenza n. 82 del 2015), dato che la finanza delle Regioni a Statuto speciale è parte della finanza pubblica allargata (sentenze n. 80 del 2017)» (sentenza n. 231 del 2017).
La disposizione regionale impugnata, prevedendo un incremento della spesa per il trattamento economico accessorio del personale, non rispettoso dei limiti posti dallo Stato al fine di assicurare l’invarianza della spesa, non risulta compatibile con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale, in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall’Unione europea garantiti dall’art. 117, primo comma, Cost. (in tal senso, sentenze n. 190 del 2022, n. 412 e n. 169 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004).
5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, posta in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., nella materia «ordinamento civile», in relazione all’art. 30, commi 1 e 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001, è fondata.
L’art. 5, comma 25, della legge della Regione Sardegna n. 17 del 2021 stabilisce che: «[a]l fine di rafforzare l’organico regionale, con particolare riguardo alle necessità di personale determinate dall’emergenza da Covid-19 e in applicazione dell’articolo 38-bis della legge regionale n. 31 del 1998, il personale con contratto a tempo indeterminato che abbia prestato servizio presso il sistema Regione in posizione di comando o in assegnazione temporanea anche attraverso i progetti di cui alla Delib. G.R. 18 gennaio 2005, n. 1/11 negli ultimi cinque anni può transitare, a seguito di apposita domanda, nell’Amministrazione regionale mediante cessione di contratto, previo nulla osta dell’amministrazione di provenienza. La presente disposizione non comporta oneri aggiuntivi a carico del bilancio regionale e si applica nei limiti delle risorse finanziarie disponibili nel fondo per il reclutamento del personale in conto della missione 01 - programma 10 - titolo 1 del bilancio regionale e nel rispetto delle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente».
La disposizione impugnata, come visto, consente il transito nell’amministrazione regionale del personale con contratto a tempo indeterminato, subordinando detto transito all’assenza di oneri per la finanza regionale e nei «limiti delle risorse finanziarie disponibili nel fondo per il reclutamento del personale» e «nel rispetto delle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente».
La disciplina dettata dal combinato della norma impugnata e dell’art. 38-bis della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, espressamente richiamato dall’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, si pone in contrasto con la normativa statale in materia di mobilità, come disciplinata dall’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001. Quest’ultimo stabilisce che le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti delle amministrazioni pubbliche, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. La disposizione prevede che l’amministrazione di appartenenza esprima previamente il proprio assenso soltanto nel caso in cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili o di personale assunto da meno di tre anni, oppure quando la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica.
Nel caso di mobilità volontaria, peraltro, non è garantito il mantenimento del livello retributivo in godimento presso l’amministrazione di provenienza. L’art. 30, comma 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001, stabilisce infatti che «[s]alvo diversa previsione, a seguito dell’iscrizione nel ruolo dell’amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione». Tale disposizione è collegata all’art. 45, comma 2, del medesimo decreto legislativo a mente del quale «[l]e amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi».
Dal confronto tra la disposizione regionale impugnata e la normativa primaria richiamata dalla medesima disposizione emergono profili di illegittimità costituzionale: le disposizioni regionali disciplinano in modo differenziato dalle norme interposte il trattamento del personale in esame, invadendo la materia «ordinamento civile», riservata dalla Costituzione al legislatore statale. Di qui la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (sentenze n. 146, n. 138 e n. 10 del 2019).
Sul punto questa Corte ha ribadito, anche recentemente, che «“[l]a materia dell’ordinamento civile, riservata in via esclusiva al legislatore statale, investe la disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici e ricomprende tutte le disposizioni che incidono sulla regolazione del rapporto di lavoro (ex plurimis, sentenze n. 175 e n. 72 del 2017, n. 257 del 2016, n. 180 del 2015, n. 269, n. 211 e n. 17 del 2014)” (sentenza n. 257 del 2020)» (sentenza n. 25 del 2021).
In particolare, con riguardo alla disciplina dei rapporti di lavoro pubblico e alla loro contrattualizzazione, è stato affermato che «i principi fissati dalla legge statale in materia “costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale […]”» (sentenza n. 154 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 232 e n. 81 del 2019, n. 234 del 2017, n. 225 e n. 77 del 2013).
Ciò comporta che le regioni non possono alterare le regole che disciplinano tali rapporti privati (ex multis, sentenze 190 del 2022 e n. 282 del 2004). Peraltro, l’art. 3, lettera a), dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di stato giuridico ed economico del proprio personale, incontra, secondo quanto previsto dallo statuto stesso, i limiti derivanti dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (così, tra le altre, sentenza n. 172 del 2018) come espressi nell’art. 30, commi 1 e 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001.
Da quanto sopra esposto deriva la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2001 per violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
5.1.– Restano assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione.
6.– Con riguardo poi alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, promossa in riferimento all’art. 97 Cost., occorre, in via preliminare, esaminare l’eccezione di inammissibilità della difesa della Regione autonoma Sardegna, la quale eccepisce un difetto di motivazione in merito alla lesione del parametro costituzionale invocato.
Tale eccezione è fondata.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, il ricorso in via principale non può limitarsi a indicare le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di legittimità costituzionale, ma deve contenere, per superare lo scrutinio di ammissibilità, anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva (ex plurimis, sentenze n. 239, n. 135 e n. 71 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 5 del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021).
La censura del Presidente del Consiglio dei ministri è invece formulata in modo generico e del tutto ipotetico, limitandosi a invocare il principio di separazione tra funzione politica e funzione di gestione amministrativa. Ciò determina l’inammissibilità delle censure in riferimento al predetto parametro.
6.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 e all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale è, invece, fondata.
La richiamata disposizione regionale stabilisce che: «[a]l fine di garantire l’assolvimento delle procedure in corso, l’avvio e l’attuazione della programmazione europea 2021/2027 possono essere prorogati, fino ad un massimo di due anni e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, gli incarichi dirigenziali a tempo determinato attribuiti in seguito a procedure ad evidenza pubblica nel sistema Regione ai sensi dell’articolo 29 della legge regionale n. 31 del 1998, secondo le direttive dell’Assessore competente». La disposizione impugnata riguarda rapporti di lavoro già in essere, a prescindere dal loro oggetto e dalla loro durata iniziale, e va ad incidere sul termine di durata stabilito al momento della stipula del contratto, disponendone la proroga fino a un massimo di due anni.
La disciplina degli incarichi dirigenziali attiene alla materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
In particolare, questa Corte ha affermato che «l’articolo 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 contiene una pluralità di precetti relativi alla qualificazione professionale ed alle precedenti esperienze lavorative del soggetto esterno, alla durata massima dell’incarico (e, dunque, anche del relativo contratto di lavoro), all’indennità che – a integrazione del trattamento economico – può essere attribuita al privato, alle conseguenze del conferimento dell’incarico su un eventuale preesistente rapporto di impiego pubblico e, infine, alla percentuale massima di incarichi conferibili a soggetti esterni» (sentenza n. 324 del 2010).
L’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, invocato quale disposizione interposta, ha infatti un effetto unificante delle regole inerenti all’accesso nelle pubbliche amministrazioni, mentre la disposizione impugnata, collegata con la precedente legge regionale n. 31 del 1998, prevede una disciplina specifica, valevole per la sola Regione autonoma Sardegna, che consente di prorogare in modo generalizzato gli incarichi dirigenziali regionali in corso di esecuzione.
Questa Corte ha reiteratamente affermato che «gli interventi legislativi che incidono sui rapporti lavorativi in essere sono ascrivibili alla materia “ordinamento civile”, dovendosi per converso ricondurre alla materia residuale dell’organizzazione amministrativa regionale quelli che intervengono “a monte”, in una fase antecedente all’instaurazione del rapporto, e riguardano profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale (ex plurimis, sentenze n. 39 e n. 9 del 2022; n. 195, n. 25 e n. 20 del 2021; n. 273, n. 194 e n. 126 del 2020; n. 241 del 2018)» (sentenza n. 84 del 2022).
Ciò determina l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001.
7.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 29, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione agli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, è fondata.
Il comma 29 dell’art. 5 stabilisce che «[a]l fine di dare attuazione ai commi 4-ter e 4-quater dell’articolo 58 della legge regionale n. 31 del 1998 introdotti dalla presente legge e istituire una indennità pensionabile in analogia all’indennità di specificità organizzativa percepita dal personale della Protezione civile nazionale, riconosciuta dall’articolo 18 del contratto integrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri sottoscritto il 15 settembre 2004, per la contrattazione collettiva regionale è autorizzata, ai sensi dell’articolo 62 della legge regionale n. 31 del 1998, l’ulteriore spesa di euro 285.840 per l’anno 2021 e di euro 1.143.360 annui a decorrere dall’anno 2022 (missione 01 - programma 10 - titolo 1)».
La disposizione impugnata, intervenendo nell’ambito del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti dell’amministrazione regionale, si pone in contrasto con le norme interposte di cui agli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, i quali stabiliscono rispettivamente che i rapporti individuali di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, compresi quelli regionali, sono regolati contrattualmente e che il trattamento economico fondamentale e accessorio è definito dai contratti collettivi.
Secondo la Regione la disposizione impugnata non invaderebbe la competenza legislativa dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto il comma 29 dell’art. 5 si limiterebbe a disporre una provvista finanziaria nell’ipotesi in cui l’indennità pensionabile per il personale della protezione civile regionale sia inserita nel contratto collettivo di settore.
Deve invece osservarsi che la disposizione regionale non si limita a prevedere le risorse finanziarie necessarie al pagamento dell’indennità pensionabile al personale della protezione civile regionale, ma interviene determinando unilateralmente detta indennità, con ciò sottraendone la disciplina alla negoziazione tra le parti interessate secondo i canoni della contrattazione collettiva. E ciò comporta l’invasione della competenza legislativa dello Stato nella materia «ordinamento civile» (in tal senso, sentenze n. 190 del 2022, n. 146, n. 138 e n. 10 del 2019).
Con riferimento alle regioni a statuto speciale occorre, altresì, tener conto delle competenze statutarie le quali, con riguardo alla Regione autonoma Sardegna, devono comunque essere esercitate nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica e, conseguentemente, anche delle previsioni recate dal d.lgs. n. 165 del 2001.
7.1.– Restano assorbiti gli ulteriori motivi di censura.
8.– Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 32, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 promossa in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., nonché all’art. 3, lettera a), dello statuto speciale, occorre preliminarmente valutare le eccezioni di inammissibilità della difesa regionale per contraddittorietà e mancanza di adeguata motivazione.
Le eccezioni di inammissibilità sono fondate con riguardo a tutti i parametri invocati.
Le censure in esame sono formulate in modo generico e assertivo con riguardo alle singole fattispecie oggetto di censura. Il ricorrente, infatti, si limita ad affermare in modo apodittico che la disposizione regionale violerebbe i principi di cui agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. e l’art. 3, lettera a), dello statuto speciale, ma non fornisce argomentazioni con riferimento alla lesione principio di buon andamento, né tanto meno alla violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» e neppure all’asserita lesione dell’art. 3 dello statuto speciale.
È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui «nella impugnazione in via principale, il ricorrente non solo deve, a pena di inammissibilità, individuare l’oggetto della questione proposta (con riferimento alla normativa che censura ed ai parametri che denuncia violati), ma ha anche l’onere (da considerare addirittura più pregnante rispetto a quello sussistente nei giudizi incidentali: ex plurimis, sentenza n. 115 del 2021) di esplicitare una motivazione chiara ed adeguata in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione dei parametri che assume incisi» (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 135, n. 239 e n. 71 del 2022).
9.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, promossa in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., è fondata.
L’art. 20 della legge reg. n. 17 del 2021 stabilisce che: «1. L’articolo 15 della legge regionale 22 dicembre 1989 n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale), è sostituito dal seguente: “Art. 15 (Esecuzione dei provvedimenti di demolizione e rimessione in pristino) 1. L’Amministrazione regionale è autorizzata a concedere una anticipazione delle spese ai comuni che sono tenuti ad eseguire i provvedimenti di demolizione e di rimessione in pristino delle autorità amministrativa e giudiziaria ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale n. 23 del 1985, dell’articolo 31, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e dell’articolo 181, comma 2, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). 2. Alla richiesta di anticipazione è allegato il titolo da eseguirsi ed un preventivo di spesa. 3. L’anticipazione è concessa senza interessi. 4. I comuni iniziano il procedimento di recupero delle spese sostenute dal trasgressore entro un anno dall’esecuzione della demolizione e lo concludono entro cinque anni, salva proroga per giustificati motivi da chiedere all’Amministrazione regionale prima della scadenza del termine. 5. Le somme recuperate sono restituite all’Amministrazione regionale che le ha anticipate. 6. In assenza di recupero dal trasgressore il comune procede comunque alla restituzione delle somme entro dieci anni dall’erogazione dell’anticipazione.”».
9.1.– Occorre preliminarmente precisare che non possono essere accolte le eccezioni formulate dalla difesa regionale. La prima è incentrata sul fatto che i rilievi statali si riferirebbero a un aspetto contabile (omessa indicazione della copertura finanziaria a sostegno dell’intervento), già presente anche nella precedente formulazione che però mai era stata oggetto di contestazione. La seconda – connessa alla prima – si basa sull’asserzione che vi sarebbe carenza di interesse al ricorso in ragione della natura meramente riproduttiva di una disposizione regionale precedente mai impugnata.
In riferimento a entrambe le eccezioni è bene ricordare la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’istituto dell’acquiescenza non opera nei giudizi in via principale, atteso che la norma censurata, anche se preceduta da altra di identico contenuto e non impugnata, ha l’effetto di reiterare la lesione che fonda l’interesse a ricorrere (in tal senso, sentenze n. 195 n. 124 e n. 107 del 2021).
Peraltro, va anche rilevato che la vecchia norma e quella subentrata non presentano un contenuto identico. La prima disposizione prevedeva difatti – per l’esecuzione delle ordinanze di demolizione di opere eseguite in violazione della disciplina urbanistica – la concessione ai comuni dei mezzi meccanici di proprietà della Regione e del proprio personale addetto, la possibilità di stipulare convenzioni con imprese specializzate per l’effettuazione dei lavori e, infine, eventualmente, l’anticipazione delle spese relative all’esecuzione delle ordinanze di demolizione.
Con la nuova disposizione, invece, i comuni non vengono più dotati di attrezzature e personale della Regione, ma si prevede la possibilità di concedere anticipazioni per fronteggiare le spese inerenti all’esecuzione dei provvedimenti di demolizione e di rimessione in pristino, stabilendo le modalità e i tempi di restituzione dell’anticipazione.
9.2.– Non può essere ritenuta un’esimente il fatto, incontestabile, che il legislatore regionale, attraverso la disposizione in esame, abbia adempiuto alla funzione statutaria di garantire la tutela del territorio nel proprio ambito, sostenendo in parte – e, in alcuni casi, del tutto, quando l’ente sia radicalmente sprovvisto di risorse per improntare i relativi interventi – gli enti locali nell’esecuzione dei provvedimenti di demolizione e di rimessione in pristino relativi ad opere abusive.
Questa finalità non giustifica alcuna deroga al principio generale secondo cui la legge regionale che dispone una spesa deve essere corredata della esatta quantificazione e dell’indicazione della posta di bilancio, secondo le modalità previste nel decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42).
La disposizione impugnata, quand’anche diretta a sostenere le politiche degli enti locali verso un concreto contrasto alle attività illegali e pregiudizievoli per il territorio, viene impugnata per il profilo riguardante la sua inidoneità ad assicurare un’adeguata copertura finanziaria, onde evitare che si traduca in un vulnus all’equilibrio del bilancio della Regione stessa.
È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui «ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (ex multis, sentenze n. 190 del 2022, n. 163 del 2020 e n. 307 del 2013).
Si aggiunga che il combinato degli artt. 17 e 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) stabilisce che le leggi e i provvedimenti che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche devono contenere la previsione dell’onere stesso e l’indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali. L’art. 19, comma 1, della legge n. 196 del 2009, specificativa del precetto di cui all’art. 81, terzo comma, Cost., prescrive, quale presupposto della copertura finanziaria, la previa quantificazione della spesa, per l’evidente motivo che non può essere assoggettata a copertura un’entità indefinita, unitamente all’indicazione del relativo stanziamento nel bilancio.
La disposizione impugnata non contiene, invece, alcuna quantificazione della spesa derivante dall’applicazione dell’art. 20, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 e nemmeno l’indicazione del relativo stanziamento.
Sul punto è bene ricordare che questa Corte ha affermato che «copertura economica delle spese ed equilibrio del bilancio sono due facce della stessa medaglia, dal momento che l’equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti risorse: nel sindacato di costituzionalità copertura finanziaria ed equilibrio integrano “una clausola generale in grado di operare pure in assenza di norme interposte quando l’antinomia [con le disposizioni impugnate] coinvolga direttamente il precetto costituzionale: infatti ‘la forza espansiva dell’art. 81, quarto [oggi terzo] comma, Cost., presidio degli equilibri di finanza pubblica, si sostanzia in una vera e propria clausola generale in grado di colpire tutti gli enunciati normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e contabile’ (sentenza n. 192 del 2012)” (sentenza n. 184 del 2016)» (sentenza n. 274 del 2017).
Tali principi valgono anche per le autonomie speciali, le quali sono quindi tenute a indicare la copertura finanziaria delle leggi regionali che prevedono nuovi o maggiori oneri a carico della loro finanza e della finanza di altre amministrazioni pubbliche, in conformità all’art. 81 Cost.
Questa Corte ha già affermato che «l’obbligo di copertura deve essere osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese che incidono su un esercizio in corso e deve valutarsi il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite nel lungo periodo, valutando gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri (sentenza n. 384 del 1991)» (sentenza n. 6 del 2017).
In definitiva, la disposizione regionale in esame, omettendo di indicare la copertura finanziaria delle spese afferenti all’esecuzione dei provvedimenti di demolizione e di rimessione in pristino, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l’art. 81, terzo comma, Cost.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della legge della Regione Sardegna 22 novembre 2021, n. 17 (Disposizioni di carattere istituzionale-finanziario e in materia di sviluppo economico e sociale);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 29, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021;
6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021;
7) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 promossa, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 promossa, in riferimento all’art. 119 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 promossa, in riferimento all’art. 97 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 32, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 promosse dal Presidente del Consiglio, in riferimento agli artt. 97, 117, secondo comma, lettera l), Cost. e all’art. 3, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2022.
F.to:
Daria de PRETIS, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2022.