ORDINANZA N. 194
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguenteORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 444, comma 1-ter, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario Firenze nel procedimento penale a carico di L. P. e S. D., con ordinanza del 23 luglio 2021, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2022 il Giudice relatore Francesco Viganò;
deliberato nella camera di consiglio del 6 luglio 2022.
Ritenuto che, con ordinanza del 23 luglio 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 444, comma 1-ter, del codice di procedura penale, denunciandone il contrasto con l’art. 3 della Costituzione «nella parte in cui impone, come condizione di ammissibilità della domanda di patteggiamento, l’integrale restituzione del prezzo o del profitto del reato anche per il caso in cui un concorrente nel reato abbia ricevuto a tale titolo una quota parte soltanto del tutto o nulla in concreto e, di contro, non prevede che per il caso di concorso di persone nel reato ogni concorrente sia tenuto, ai fini della condizione di procedibilità dell’istanza di patteggiamento, a restituire solo la quota parte effettivamente conseguita, ovvero ne sia esentato per il caso in cui non abbia conseguito nulla»;
che il rimettente è chiamato a pronunciarsi sulle istanze di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. avanzate da L. P. e S. D., imputati dei reati di cui agli artt. 110, 319, 319-bis, 321 e 81, secondo comma, del codice penale;
che, oltre a L. P., risultano imputati anche altri soggetti privati accusati di avere corrotto, in concorso tra loro, il pubblico ufficiale S. D., ottenendo a proprio vantaggio l’illecita aggiudicazione di un numero rilevante di appalti;
che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo afferma che le istanze di patteggiamento avanzate dai due imputati «dovrebbero essere dichiarate inammissibili», poiché per entrambi mancherebbe la prova della integrale restituzione del prezzo o del profitto del reato, sicché non potrebbe ritenersi soddisfatto il requisito di cui all’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen., che nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis cod. pen. subordina l’ammissibilità della richiesta di patteggiamento a tale restituzione;
che, in particolare, il rimettente rileva che «[l]e cifre relative al prezzo o profitto dei reati contestati agli imputati vanno, allo stato degli atti e della legislazione, considerate nel loro complesso, in quanto frutto del concorso in corruzione», nonostante L. P. protesti la propria estraneità, in termini di partecipazione al profitto del reato, rispetto alla maggior parte degli appalti e quantifichi pertanto il proprio profitto in una cifra inferiore a quello complessivamente indicato dal pubblico ministero;
che, ad avviso del giudice a quo, l’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen., «non distingue i casi in cui più siano gli imputati, più gli episodi e solo alcuni di essi agenti abbiano conseguito un profitto, per l’intero, o per una quota parte, o per nulla; con la conseguenza che per il caso di scelta del rito alternativo in argomento l’interessato sarebbe tenuto, in una condizione di solidarietà, inespressa, ma di fatto, con tutti i coimputati alla restituzione dell’intera cifra che astrattamente fosse prospettabile come prezzo o profitto del reato complessivamente considerato», ciò che radicherebbe la rilevanza della questione, dal momento che «gli imputati non hanno restituito l’intero ammontare del prezzo o profitto dei reati per come contestato»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva che la norma in esame, «evocando una solidarietà per l’intero di tutti i concorrenti, anche di coloro che in ipotesi non avessero conseguito alcunché, o una sola quota parte», si porrebbe in contrasto con «il principio di ragionevolezza che trova la sua matrice nel principio più ampio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.», in quanto, applicandosi il requisito della integrale restituzione «tanto al caso di un solo agente che si sia arricchito di tutto il profitto, quanto al caso di un concorrente che si sia arricchito per solo una parte del profitto del reato, ovvero non si sia arricchito affatto», si dovrebbe «considerare inammissibile il patteggiamento di colui che restituisca solo una parte del profitto, corrispondente alla sua quota, ovvero non sia in grado di restituire alcunché per non aver conseguito profitti o parti di essi»;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata;
che, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la questione sarebbe inammissibile in quanto «prematura ed ipotetica», dal momento che il giudice rimettente «non ha prospettato che l’offerta restitutoria (parziale) sia effettivamente corrispondente alla quota di prodotto o profitto conseguita dagli imputati, limitandosi a dedurre che essa è questione di merito da affrontare solo all’esito della ammissibilità in rito dell’applicazione concordata della pena»: sicché, «ove risultasse che la quota (parziale) offerta dagli imputati non fosse effettivamente corrispondente alla quota di prodotto o profitto conseguita dai medesimi, la richiesta di patteggiamento andrebbe comunque, successivamente rigettata», anche qualora la questione sollevata venisse accolta nei termini indicati dal rimettente;
che nel merito la questione sarebbe, comunque, manifestamente infondata;
che, infatti, essa sarebbe «perfettamente sovrapponibile, per eadem ratio di disciplina» a quella decisa con la sentenza n. 95 del 2015 di questa Corte, con la quale è stata ritenuta non fondata la questione di costituzionalità afferente alla limitazione del patteggiamento prevista dall’art. 13, comma 2-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205);
che, inoltre, l’interveniente afferma che «rientrano nella sfera di discrezionalità del legislatore le scelte di politica criminale volte a delineare in termini più rigorosi il regime processuale di taluni reati, compreso il particolare regime del reato concorsuale», sicché la disposizione censurata non solo sarebbe «legittima estrinsecazione d’una opzione di politica criminale operata dal legislatore», ma costituirebbe, altresì, «necessitata e coerente proiezione logica del generale paradigma sanzionatorio di tipo causale accolto nel nostro ordinamento per l’incriminazione delle condotte concorsuali»;
che ciò troverebbe conferma nell’art. 187 cod. pen., ai sensi del quale, in caso di reato concorsuale, i condannati sono obbligati in solido al risarcimento del danno, nonché nella giurisprudenza della Corte di cassazione (è citata la sentenza della sezione sesta penale, 14 luglio 2021, n. 31249, secondo cui, in tema di confisca per equivalente disposta in relazione al reato di corruzione, trova applicazione «il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e del conseguente effetto in capo a ciascun concorrente», sicché, quando il profitto illecito abbia perso la sua «individualità storica», la confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti «anche per l’intera entità del profitto accertato», con il solo limite che «l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso»).
Considerato che, con ordinanza del 23 luglio 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 444, comma 1-ter, del codice di procedura penale, denunciandone il contrasto con l’art. 3 della Costituzione, «nella parte in cui impone, come condizione di ammissibilità della domanda di patteggiamento, l’integrale restituzione del prezzo o del profitto del reato anche per il caso in cui un concorrente nel reato abbia ricevuto a tale titolo una quota parte soltanto del tutto o nulla in concreto e, di contro, non prevede che per il caso di concorso di persone nel reato ogni concorrente sia tenuto, ai fini della condizione di procedibilità dell’istanza di patteggiamento, a restituire solo la quota parte effettivamente conseguita, ovvero ne sia esentato per il caso in cui non abbia conseguito nulla»;
che la questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza;
che, nel decidere dell’ammissibilità di una questione sollevata in via incidentale, questa Corte «è chiamata a verificare se il giudice a quo abbia fornito elementi sufficienti per valutare la necessaria applicazione della disposizione censurata nel percorso argomentativo che conduce alla decisione del giudizio principale. Tale accertamento presuppone una motivazione non implausibile sulla sussistenza di un rapporto di strumentalità e di pregiudizialità tra la risoluzione del dubbio di legittimità costituzionale e la decisione della controversia oggetto del giudizio principale (ex plurimis, sentenza n. 50 del 2014 e ordinanza n. 282 del 1998)» (sentenza n. 249 del 2021);
che, alla luce degli elementi forniti dal giudice a quo nell’ordinanza di rimessione, tale rapporto di strumentalità e di pregiudizialità non è in alcun modo dimostrato, risultando anzi che l’eventuale pronuncia di accoglimento di questa Corte non avrebbe alcuna incidenza sul giudizio principale;
che, infatti, la disposizione censurata – introdotta dall’art. 6, comma 1, della legge 27 maggio 2015, n. 69 (Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio) – condiziona l’ammissibilità della richiesta di patteggiamento, in relazione a numerosi delitti contro la pubblica amministrazione, alla «restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato»;
che tra le norme incriminatrici ivi espressamente richiamate non compare però l’art. 321 del codice penale, che estende al privato corruttore le pene previste a carico dei pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio dagli artt. 318, primo comma, 319, 319-bis, 319-ter e 320 in relazione agli stessi artt. 318, primo comma, e 319 cod. pen.;
che a tale mancato richiamo non può ovviarsi in via interpretativa, anche alla luce del confronto tra la disposizione in questa sede censurata e altre disposizioni che contengono altri elenchi di reati contro la pubblica amministrazione analoghi a quello ivi contenuto, elenchi che oggi contemplano – invece – l’art. 321 cod. pen.;
che tra tali disposizioni viene anzitutto in considerazione l’art. 322-quater cod. pen., introdotto dalla medesima legge n. 69 del 2015, che prevede un obbligo di «riparazione pecuniaria» a carico degli autori di reati contro la pubblica amministrazione, tra i quali non erano in origine inclusi i delitti di corruzione attiva di cui all’art. 321 cod. pen.;
che la legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici) ha tuttavia modificato l’art. 322-quater cod. pen., inserendo espressamente l’art. 321 cod. pen. nell’elenco dei reati che danno luogo all’obbligo di riparazione pecuniaria;
che, in secondo luogo, viene in considerazione l’art. 165, quarto comma, cod. pen., parimenti introdotto dalla legge n. 69 del 2015, che subordina la sospensione condizionale della pena al pagamento della riparazione pecuniaria di cui al menzionato art. 322-quater cod. pen. in riferimento a una serie di reati contro la pubblica amministrazione, tra i quali inizialmente non comparivano i delitti di corruzione attiva di cui all’art. 321 cod. pen.;
che, anche in questo caso, la legge n. 3 del 2019 è intervenuta a integrare l’elenco di reati ai quali si applica l’art. 165, quarto comma, cod. pen., inserendovi l’art. 321 cod. pen.;
che, in terzo luogo, la stessa legge n. 3 del 2019 ha inserito nell’art. 444 cod. proc. pen. un nuovo comma 3-bis, che prevede che la richiesta di patteggiamento possa essere subordinata all’esenzione dalle pene accessorie o alla sospensione condizionale delle stesse in relazione a una serie di reati contro la pubblica amministrazione, includendovi espressamente quelli di corruzione attiva di cui all’art. 321 cod. pen.;
che il raffronto tra il censurato art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen. e le altre disposizioni menzionate – l’ultima delle quali collocata nel medesimo art. 444 cod. proc. pen. – evidenzia la consapevole scelta del legislatore del 2015 prima, e di quello del 2019 poi, di modulare diversamente l’ambito di applicazione delle disposizioni citate, estendendo solo alle ultime tre il richiamo all’art. 321 cod. pen., che continua invece a essere assente nell’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen.: ciò che impone di concludere pianamente nel senso che ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit;
che, del resto, l’assenza dei delitti di corruzione attiva di cui all’art. 321 cod. pen. nell’elenco contenuto nell’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen. era stata già rilevata – criticamente – durante i lavori preparatori della legge n. 69 del 2015 (intervento in Assemblea del sen. Nitto Francesco Palma nel corso della seduta pubblica n. 420 della XVII Legislatura, 31 marzo 2015) ed era stata oggetto di una pregiudiziale di costituzionalità alla Camera, discussa e respinta dall’Assemblea nella seduta pubblica n. 431 della XVII legislatura del 20 maggio 2015 (questione pregiudiziale di costituzionalità Santelli e altri, n. 1 – A.C. 3008);
che parimenti la dottrina che ha commentato la novella di cui all’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen. ha puntualmente rilevato l’assenza dell’art. 321 cod. pen. dall’elenco dei delitti cui si applica la relativa disciplina, ritenendo tale lacuna intenzionale e, comunque, non colmabile in via interpretativa;
che la giurisprudenza di legittimità è, sia pure incidentalmente, giunta alla medesima conclusione (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 24 giugno 2020, n. 23602);
che, conseguentemente, la disposizione in questa sede censurata non è in radice applicabile a L. P., imputato di corruzione attiva ai sensi dell’art. 321 cod. pen., irrilevante risultando pertanto, sotto questo profilo, il concorso di altri imputati nel reato;
che, quanto invece a S. D., indicato nel capo di imputazione quale unico pubblico ufficiale autore di corruzione passiva ai sensi degli artt. 319 e 319-bis cod. pen., difetta ictu oculi nei suoi confronti il presupposto necessario per la rilevanza della questione sollevata, vale a dire l’esistenza di una pluralità di imputati in concorso tra loro, ciascuno dei quali avrebbe ricevuto soltanto una parte del prezzo del reato;
che risulta pertanto evidente che la risoluzione del dubbio di legittimità costituzionale prospettato non è strumentale e pregiudiziale alla decisione del giudizio a quo, che può essere definito indipendentemente dalla questione sollevata;
che il rilevato vizio di rilevanza determina l’inammissibilità della questione, rendendo superfluo l’esame dell’ulteriore profilo di inammissibilità prospettato dall’interveniente.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale vigenti ratione temporis.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 444, comma 1-ter, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2022.