SENTENZA N. 223
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Regione Puglia 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio), come modificato e integrato dall’art. 12 della legge della Regione Puglia 7 maggio 2008, n. 5, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio)», promossi dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, con due ordinanze del 30 e del 18 giugno 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 155 e 163 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 46 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti gli atti di costituzione della Tata Italia spa;
udito nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2021 il Giudice relatore Luca Antonini;
udito l’avvocato Felice Eugenio Lorusso per la Tata Italia spa, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;
deliberato nella camera di consiglio del 6 ottobre 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con due ordinanze, di analogo tenore, del 30 e del 18 giugno 2020 (rispettivamente, reg. ord. n. 155 e n. 163 del 2020), la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Regione Puglia 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio), come modificato e integrato dall’art. 12 della legge della Regione Puglia 7 maggio 2008, n. 5, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio)».
Tale disposizione è censurata nelle parti in cui disciplina l’obbligo della chiusura domenicale degli esercizi di vendita al dettaglio e indica le fattispecie in cui è possibile derogarvi.
Ponendo limiti e prescrizioni alle aperture domenicali, essa invaderebbe, ad avviso dei giudici rimettenti, la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela della concorrenza», ledendo quindi l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in quanto si porrebbe in contrasto con la previsione della piena liberalizzazione dei giorni di apertura degli esercizi commerciali introdotta dall’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, nella formulazione risultante dalle modifiche ad esso apportate dall’art. 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. Norma, questa, a mente della quale «le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: […] d-bis), il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio».
2.– Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 155 del 2020, il Collegio rimettente riferisce di essere investito dell’impugnazione della sentenza d’appello di rigetto dell’opposizione avverso il provvedimento di irrogazione di una sanzione amministrativa in conseguenza della violazione, commessa il 1° febbraio 2009, dell’obbligo di chiusura domenicale degli esercizi commerciali stabilito dalla norma censurata.
Analogamente, nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 163 del 2020, la Corte di cassazione è chiamata a decidere sul ricorso avverso la sentenza d’appello che aveva confermato la decisione di prime cure di rigetto dell’opposizione all’ordinanza-ingiunzione emessa a seguito della contestazione dell’apertura di un esercizio commerciale in una domenica del mese di aprile del 2009.
3.– In punto di non manifesta infondatezza, i rimettenti innanzitutto osservano che secondo questa Corte (è richiamata la sentenza n. 239 del 2016) l’evocata norma interposta, in quanto funzionale ad assicurare la liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura delle attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande, sarebbe ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza: sarebbero pertanto illegittime, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., le disposizioni regionali che – come quella denunciata – ne attenuano la portata.
Sostengono, poi, i giudici a quibus che il principio tempus regit actum proprio della successione delle leggi nel tempo non sarebbe applicabile in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Questa, infatti, non essendo «una forma di abrogazione, ma una conseguenza dell’invalidità della legge», produrrebbe effetti retroattivi, secondo quanto previsto dagli artt. 136 Cost. e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e investirebbe pertanto anche le fattispecie oggetto dei processi principali.
In ordine alla rilevanza, quindi, i rimettenti evidenziano che i provvedimenti di cui si discute nei giudizi a quibus trovano fondamento nel denunciato art. 18 della legge reg. Puglia n. 11 del 2003, con la conseguenza che, poiché gli ulteriori motivi di gravame delle sentenze impugnate sono stati disattesi, solo la caducazione di tale disposizione consentirebbe l’accoglimento dei ricorsi.
4.– Con atti sostanzialmente coincidenti, si è costituita in entrambi i giudizi la società Tata Italia spa, ricorrente nei processi principali.
Per quanto qui interessa, la parte osserva, in ordine alla rilevanza delle questioni, che gli illeciti dai quali traggono origine le ordinanze-ingiunzione da essa opposte risalgono al 2009 e sono, pertanto, disciplinati dalla disposizione regionale sospettata, vigente al momento dei fatti contestati, in quanto la legge reg. Puglia n. 11 del 2003 è stata abrogata solo nel 2015 (dall’art. 63, comma 1, lettera a, della legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, recante «Codice del commercio»).
Nel merito, le questioni sarebbero fondate alla stregua del costante orientamento di questa Corte che avrebbe reiteratamente ricondotto il parametro interposto evocato dai rimettenti alla materia «tutela della concorrenza», conseguentemente dichiarando illegittime le norme regionali con esso contrastanti.
5.– La Regione Puglia non è intervenuta nei giudizi.
6.– In prossimità dell’udienza, la Tata Italia spa ha depositato memorie illustrative di identico contenuto, insistendo nella fondatezza delle questioni sollevate dai giudici a quibus.
Considerato in diritto
1.– Con due ordinanze di analogo tenore (reg. ord. n. 155 e n. 163 del 2020), la Corte di cassazione, sezione seconda civile, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Regione Puglia 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio), come modificato e integrato dall’art. 12 della legge della Regione Puglia 7 maggio 2008, n. 5, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio)».
2.– Tale disposizione è censurata nelle parti in cui disciplina l’obbligo della chiusura domenicale degli esercizi di vendita al dettaglio e indica le fattispecie in cui è possibile derogarvi.
Ponendo limiti e prescrizioni alle aperture domenicali, essa recherebbe un vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in relazione alla materia «tutela della concorrenza», in quanto contrasterebbe con la previsione della piena liberalizzazione dei giorni di apertura degli esercizi commerciali dettata dall’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, nella formulazione risultante dalle modifiche ad esso apportate dall’art. 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Il parametro interposto evocato stabilisce che «le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: […] d-bis), il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio».
Questa norma, entrata in vigore il 6 dicembre 2011, ad avviso dei rimettenti sarebbe riconducibile alla materia «tutela della concorrenza», con la conseguenza di rendere costituzionalmente illegittime le norme regionali recanti vincoli e limiti con essa confliggenti.
2.1.– Nei giudizi principali, peraltro, si discute della legittimità di sanzioni amministrative irrogate a seguito di violazioni dell’obbligo di chiusura domenicale commesse nel 2009.
In stretta correlazione con le fattispecie sulle quali sono chiamati a decidere – che riguardando sanzioni amministrative sono assoggettate, in linea generale, alla legge vigente al momento della condotta illecita – i rimettenti, in sostanza, ritengono che il dedotto contrasto tra la disposizione regionale censurata e quella statale evocata comporti l’illegittimità costituzionale della prima sin dal momento del suo ingresso nell’ordinamento e, in particolare, nel periodo precedente all’entrata in vigore (il 6 dicembre 2011) della menzionata norma statale. In questa prospettiva, l’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale, producendo gli effetti retroattivi di cui agli artt. 136, primo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), inciderebbe anche sulle fattispecie oggetto dei processi a quibus.
3.– Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere unitariamente trattati e definiti con unica decisione.
4.– I rimettenti muovono, come detto, dalla prospettiva secondo cui l’evocata norma statale, sopravvenuta nel 2011, costituisca parametro interposto idoneo, ratione temporis, a valutare la legittimità costituzionale di una disciplina legislativa regionale previgente, in quanto risalente a un arco temporale anteriore all’entrata in vigore del parametro stesso.
4.1.– Tale assunto non è condivisibile e rende le questioni così prospettate non fondate.
4.2.– Nel caso di successione nel tempo di discipline statali che costituiscono parametro interposto ai fini del riparto di competenza fra Stato e Regioni, infatti, la valutazione della legittimità costituzionale di una norma regionale non può prescindere dalla considerazione del pertinente quadro normativo statale vigente al momento della sua entrata in vigore (ex plurimis, sentenze n. 42 del 2021 e n. 5 del 2020).
Pertanto, se, come nel caso in esame, nell’esercizio di una competenza esclusiva trasversale, lo Stato in un momento successivo introduce nuove e diverse previsioni, l’antinomia determina unicamente un vizio sopravvenuto di violazione del riparto di competenza tra Stato e Regioni e deve essere esclusa l’illegittimità della norma regionale per il periodo precedente l’insorgenza del vizio stesso.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, difatti, l’intervento di un nuovo parametro statale non produce l’illegittimità costituzionale della norma regionale per il suo intero arco di vigenza, ma solo con riguardo al periodo successivo all’entrata in vigore della novella statale (sentenze n. 189 del 2021, n. 70 del 2020 e n. 218 del 2017).
Tale conclusione non è scalfita dal rilievo che i rimettenti vorrebbero attribuire alla retroattività, sancita dagli artt. 136, primo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, delle sentenze che pronunciano l’illegittimità di una norma di legge.
Se, infatti, le sentenze che dichiarano l’illegittimità costituzionale operano ex tunc, è altrettanto vero che «la naturale retroattività degli effetti [di tali pronunce] non è senza eccezioni» e, per quanto qui rileva, «diversa è la decorrenza in caso di “illegittimità costituzionale sopravvenuta”» (sentenza n. 246 del 2019), la quale produce effetti a partire dal momento in cui diviene «attuale la discrasia […] della distribuzione delle competenze» (sentenza n. 189 del 2021).
Alla luce delle considerazioni svolte, si deve escludere che l’evocato parametro interposto, entrato in vigore il 6 dicembre 2011 e privo di efficacia retroattiva, sia idoneo, ratione temporis, a determinare la dedotta illegittimità costituzionale della denunciata norma regionale per il periodo precedente alla novella legislativa statale.
Quanto al periodo successivo, resta solo da precisare che questa Corte non può, d’ufficio, procedere a considerarlo perché la valutazione di legittimità costituzionale della norma, per tale periodo, non si pone in rapporto di pregiudizialità con le questioni sollevate, in quanto l’eventuale pronuncia di incostituzionalità non rileverebbe nei giudizi a quibus.
4.3.– Le questioni prospettate dagli odierni rimettenti devono, pertanto, essere dichiarate non fondate.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Regione Puglia 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio), come modificato e integrato dall’art. 12 della legge della Regione Puglia 7 maggio 2008, n. 5, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 1° agosto 2003, n. 11 (Nuova disciplina del commercio)», sollevate, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione seconda civile, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 ottobre 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2021.