SENTENZA N. 172
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Marta CARTABIA;
Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 20, comma 1, lettera g), 32, comma 1, lettera e), e 79 della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 24-28 dicembre 2018, depositato in cancelleria il 28 dicembre 2018, iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;
udito nella udienza pubblica del 7 luglio 2020 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l’avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Rodolfo Murra per la Regione Lazio;
deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2020.
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2018, ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 20, comma 1, lettera g), 32, comma 1, lettera e), e 79 della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), per violazione complessivamente degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione.
1.1.− L’art. 20, comma 1, lettera g), della legge regionale impugnata aggiunge il comma 3-bis all’art. 42 della legge della Regione Lazio 7 dicembre 1990, n. 87 (Norme per la tutela del patrimonio ittico e per la disciplina dell'esercizio della pesca nelle acque interne del Lazio), il quale prevede che il rilascio e il rinnovo della qualifica di guardia giurata ittica volontaria possono essere riconosciuti a coloro che abbiano riportato condanne per «reati puniti con la sola pena pecuniaria».
A detta del ricorrente, tale disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza. Infatti, l’art. 31 del regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1604 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla pesca) dispone che gli agenti giurati addetti alla sorveglianza sulla pesca nelle acque interne devono possedere i requisiti previsti dall’art. 138 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza» (da ora: TULPS) per le guardie particolari giurate. Nonostante quest’ultima norma prescriva, tra gli altri, il requisito del «non avere riportato condanna per delitto», la disposizione gravata, nel consentire il rilascio o il rinnovo della qualifica di guardia giurata anche a chi ha riportato condanna a una pena pecuniaria, senza operare alcuna distinzione tra multa e ammenda, includerebbe anche chi sia stato condannato per un delitto.
1.2.− L’art. 32, comma 1, lettera e), della medesima legge regionale gravata, che sostituisce l’art. 17 della legge della Regione Lazio 29 novembre 2006, n. 21, recante «Disciplina dello svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande. Modifiche alla L.R. 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e alla L.R. 18 novembre 1999, n. 33 (Disciplina relativa al settore del commercio) e successive modifiche», attribuisce al Comune la competenza a stabilire limiti e condizioni agli orari di apertura e chiusura dei pubblici esercizi «per gravi e urgenti motivi relativi all’ordine pubblico, alla sicurezza […]».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri esso violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in quanto l’art. 50, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali» (da ora: TUEL), come modificato con decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48, pur consentendo al sindaco di intervenire (con ordinanza contingibile e urgente) in materia di orari di vendita, riconoscerebbe tale facoltà esclusivamente per i casi di «urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti», e non già per ragioni di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, riservata alle autorità di pubblica sicurezza.
1.3.− L’art. 79 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, sostituisce il comma 1 dell’art. 23 della legge della Regione Lazio 3 novembre 2015, n. 14 (Interventi regionali in favore dei soggetti interessati dal sovraindebitamento o vittime di usura o di estorsione) e dispone l’estensione a favore delle vittime di estorsione di interventi regionali previsti per le vittime di usura.
A parere del ricorrente esso si porrebbe in contrasto con la normativa statale di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura) – che prevede, all’art. 14, comma 2, la concessione in favore delle vittime del reato di usura di un mutuo senza interessi da restituire in rate decennali – e alla legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), la quale, all’art. l, stabilisce che «[a]i soggetti danneggiati da attività estorsive è elargita una somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale subito, nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla presente legge». In particolare, poi, l’art. 12, al comma 1-bis, della legge n. 44 del 1999 (aggiunto dall’art. 1 del decreto-legge 13 settembre 1999, n. 317, recante «Disposizioni urgenti a tutela delle vittime delle richieste estorsive e dell’usura», convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 1999, n. 414), dispone la non cumulabilità con precedenti risarcimenti o rimborsi a qualunque titolo da parte di altre amministrazioni pubbliche e il successivo art. 16, al comma 2-bis (ugualmente aggiunto dall’art. 1 del d.l. n. 317 del 1999), stabilisce la revoca totale o parziale dell’elargizione al sopravvenire di tale risarcimento o rimborso ovvero di un rimborso assicurativo.
Nonostante tali norme statali siano dirette a scongiurare ogni possibile sovrapposizione rispetto ad analoghi benefici eventualmente previsti dalle legislazioni regionali, la disposizione gravata, «nel prevedere, genericamente, un distinto intervento regionale per il contrasto all’estorsione ed all’usura», creerebbe una duplicazione di benefici a ristoro del medesimo evento dannoso e violerebbe pertanto il principio del buon andamento dell’azione amministrativa della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonché l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. in materia di ordine pubblico e sicurezza.
2.− Si è costituita la Regione Lazio, eccependo l’infondatezza delle tre questioni in esame e l’inammissibilità dell’ultima.
2.1.− Quanto alla prima, la resistente deduce che la disposizione impugnata, nel contemplare la possibilità di rilascio e di rinnovo della qualifica di guardia giurata ittica volontaria a coloro che abbiano riportato condanne per reati puniti con la sola pena pecuniaria, non intenderebbe derogare ai requisiti prescritti dall’art. 138 del TULPS, in quanto essa, nel suo incipit, fa espressamente salvo il rispetto di quanto previsto da quest’ultima norma, ivi compreso, dunque, il divieto di rilascio o rinnovo della predetta qualifica a coloro che hanno riportato condanne per delitto.
A parere della Regione, dunque, la gravata disposizione troverebbe applicazione nei limiti di quanto previsto dal richiamato art. 138, dovendosi intendere, pertanto, esclusi dal riferimento ai «reati punti con la sola pena pecuniaria» quelli sanzionati con la multa. Secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, cioè, la norma regionale troverebbe applicazione per i soli casi di condanna al pagamento di un’ammenda, sanzione prevista per le contravvenzioni, e non anche per le multe, comminate per i delitti.
2.2.− Anche la seconda questione non sarebbe fondata, in quanto la norma gravata, nel disciplinare i casi in cui il Comune può prevedere limiti e condizioni agli orari dei pubblici esercizi, non intenderebbe invadere prerogative proprie dell’autorità di pubblica sicurezza relative alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, ma, anzi, terrebbe conto delle norme dettate dal legislatore statale nel TUEL, ed in particolare dall’art. 50, che, ai commi 5 e 7-bis, prevede le fattispecie in cui il sindaco può limitare gli orari degli esercizi commerciali con ordinanze contingibili e urgenti, e dall’art. 54, che attribuisce al sindaco competenze in materia di ordine e sicurezza pubblica.
La resistente segnala inoltre che, ai fini dell’interpretazione del predetto art. 50, occorrerebbe tenere in considerazione la definizione di “sicurezza urbana” contenuta nell’art. 4 del d.l. n. 14 del 2017, la quale fa riferimento al «bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree e dei siti degradati, l’eliminazione dei fattori marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni».
Del resto, dato che l’ambito di applicazione della norma sarebbe limitato ai soli casi emergenziali (cioè in presenza di «gravi e urgenti motivi»), esso riguarderebbe solo il potere dei sindaci di emanare ordinanze contingibili e urgenti, restando quindi escluso quello di regolare in via ordinaria gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, come avrebbe sostenuto anche questa Corte, pronunciandosi, su questione analoga relativa agli interventi di emergenza, con sentenza n. 196 del 2009.
2.3.− Quanto alla terza questione, la resistente ne sostiene, innanzitutto, l’inammissibilità per la mancata contestuale impugnazione dell’art. 78 della medesima legge reg. Lazio n. 7 del 2018. Infatti, il gravato art. 79 ha un contenuto prettamente finanziario, limitandosi a modificare l’art. 23 della legge reg. Lazio n. 14 del 2015 (rubricato «Disposizioni finanziarie»), mentre è il precedente art. 78 che dispone l’estensione alle vittime dell’estorsione dei benefici che la legge reg. Lazio n. 14 del 2015 accordava, prima della novella, alle vittime di usura.
La questione sarebbe comunque infondata, in quanto il timore della «duplicazione di benefici a ristoro del medesimo evento dannoso» risulterebbe scongiurato dalla previsione della comunicazione all’ufficio del Governo competente in materia di iniziative antiracket e antiusura degli indennizzi concessi ai sensi dell’art. 6 della legge reg. Lazio n. 14 del 2015 a favore dei soggetti che abbiano subito l’interruzione o la compromissione della propria attività lavorativa. La finalità di tale comunicazione sarebbe proprio quella di evitare che si possano sommare due diversi indennizzi per la medesima causale.
3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri in data 29 ottobre 2019 ha depositato memoria, nella quale, però, non sono trattate le disposizioni in esame, ma altri articoli della stessa legge regionale n. 7 del 2018 impugnati con il medesimo ricorso n. 87 del 2019.
4.− In data 13 maggio 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, rappresentando che l’art. 107, comma 1, lettera ll), della legge della Regione Lazio 6 novembre 2019, n. 22 (Testo Unico del Commercio) ha abrogato l’impugnato art. 32 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 e rinunciando, quindi, alla propria impugnazione limitatamente a tale disposizione.
5.− In data 4 giugno 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato nuova memoria, chiedendo dichiararsi la cessazione della materia del contendere quanto all’impugnazione dell’art. 32 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018. Con riferimento agli altri articoli impugnati, viene reputata non convincente la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 20 della legge regionale n. 7 del 2018, proposta dalla Regione Lazio nella propria tesi difensiva, in quanto il richiamo in esso contenuto all’art. 138, comma 1, TULPS non sarebbe sufficiente a escludere che l’incarico di guardia giurata ittica volontaria possa essere attribuito anche a soggetti condannati per delitti. Quanto, poi, al successivo art. 79, viene ricordato che gli artt. 12, comma 1-bis, e 16, comma 2-bis, del d.l. n. 317 del 1999, convertito con legge n. 414 del 1999, sono diretti a scongiurare ogni possibile sovrapposizione dei benefici previsti dalla medesima legge statale rispetto ad analoghi benefici eventualmente previsti da leggi regionali, disponendo rispettivamente la mancata ammissione e la revoca dell’elargizione nelle ipotesi in cui lo stesso danno sia oggetto di risarcimento o rimborso a qualunque titolo da parte di amministrazioni pubbliche. Non sarebbe quindi consentito alla legislazione regionale – prosegue l’Avvocatura – la previsione di elargizioni di ulteriori benefici economici in aggiunta a quanto disposto dalla normativa statale, la quale, appunto, fisserebbe un limite del beneficio medesimo. Pertanto la disposizione regionale si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., oltre che con l’art. 97 Cost. proprio a causa della duplicazione di benefici a ristoro del medesimo danno.
Con specifico riferimento all’eccezione di inammissibilità della Regione Lazio per la mancata contestuale impugnazione dell’art. 78 della medesima legge reg. Lazio n. 7 del 2018, infine, viene affermata la sua infondatezza in quanto oggetto di contestazione è proprio (e solo) il successivo art. 79. Ed infatti, non sono censurati gli interventi in favore delle vittime dell’estorsione previsti dalle norme regionali, rientrando, nella competenza della Regione, la realizzazione di interventi di sostegno di tale natura; è, «invece, oggetto di contestazione lo stanziamento di fondi in favore delle vittime di usura ed estorsione che si aggiungono alle provvidenze economiche previste dalla normativa statale, determinando quella “duplicazione” lesiva dell’art. 117, comma 2, lett. h), della Costituzione in materia di ordine pubblico e sicurezza». L’art. 79, dunque, prosegue il ricorrente, è «la norma correttamente censurata, perché recante la diposizione lesiva delle norme interposte, mentre la parificazione, ad altri effetti, delle vittime dell’usura alle vittime dell’estorsione non viola ex se precetti costituzionali». Viene in chiusura segnalato che la previsione dell’obbligo di comunicazione all’Ufficio di Governo competente non sarebbe idoneo a evitare la temuta duplicazione dei benefici, non essendo finalizzato alla revoca o preclusione di altre elargizioni.
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale) e, tra queste, degli artt. 20, comma 1, lettera g), 32, comma 1, lettera e), e 79, per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione.
2.− L’art. 20, comma 1, lettera g), della legge regionale impugnata, aggiungendo il comma 3-bis all’art. 42 della legge della Regione Lazio 7 dicembre 1990, n. 87 (Norme per la tutela del patrimonio ittico e per la disciplina dell'esercizio della pesca nelle acque interne del Lazio), prevede che il rilascio e il rinnovo della qualifica di guardia giurata ittica volontaria può essere riconosciuto a coloro che abbiano riportato condanne per «reati puniti con la sola pena pecuniaria».
A parere del ricorrente esso violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza, in relazione all’art. 31 del regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1604 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla pesca), il quale dispone che gli agenti giurati addetti alla sorveglianza sulla pesca nelle acque interne devono possedere i requisiti previsti dall’art. 138 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza» (da ora: TULPS) per le guardie particolari giurate, tra i quali vi è quello di «non avere riportato condanna per delitto».
La norma gravata, nel consentire che la qualifica di guardia giurata possa essere rilasciata o rinnovata anche a chi ha riportato condanna a una pena pecuniaria, senza operare alcuna distinzione tra multa e ammenda, ammetterebbe anche chi sia stato condannato per un delitto.
3.− La questione è fondata.
4.− Va escluso al riguardo che sia risolutiva la possibilità – prospettata dalla Regione – di una lettura costituzionalmente orientata della disposizione.
È pur vero che il comma 3-bis in questione afferma: «Fermo restando quanto previsto dall’articolo 138, primo comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e successive modifiche», ma la perentoria affermazione che segue, secondo cui il rilascio e il rinnovo della qualifica di guardia giurata ittica volontaria non sono preclusi nei confronti di coloro che abbiano riportato condanne per reati puniti con la sola pena pecuniaria, oltre ad essere ragione di ingiustificata incertezza, comporta una novazione della fonte, con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale, che costituisce di per sé causa di illegittimità della norma regionale (ex plurimis, sentenze n. 110 del 2018, n. 40 del 2017, n. 234 e n. 195 del 2015, n. 35 del 2011 e n. 26 del 2005).
5.− Ne consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettera g), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018.
6.− Altra norma impugnata è l’art. 32, comma 1, lettera e), della medesima legge regionale, che sostituisce l’art. 17 della legge della Regione Lazio 29 novembre 2006, n. 21, recante «Disciplina dello svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande. Modifiche alla L.R. 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e alla L.R. 18 novembre 1999, n. 33 (Disciplina relativa al settore del commercio) e successive modifiche».
6.1.− Oggetto delle censure è in particolare il comma 3 dell’articolo sostituito, nella parte in cui dispone che il Comune può, con ordinanza, prevedere limiti e condizioni agli orari di apertura e chiusura dei pubblici esercizi, per gravi e urgenti motivi relativi all’ordine pubblico e alla sicurezza.
7.− Il comma è stato dapprima modificato ad opera dell’art. 16, comma 9, della legge della Regione Lazio 20 maggio 2019, n. 8 (Disposizioni finanziarie di interesse regionale e misure correttive di leggi regionali varie), e successivamente abrogato dall’art. 107, comma 1, lettera ll), della legge della Regione Lazio 6 novembre 2019, n. 22 (Testo Unico del Commercio), il quale, alla lettera mm), ha abrogato anche il comma 9 dell’art. 16 della legge reg. Lazio n. 8 del 2019, relativamente alle modifiche apportate alla legge reg. Lazio n. 21 del 2006.
7.1.− In considerazione di tutto questo, il Presidente del Consiglio dei ministri, con memoria depositata il 13 maggio 2020, ha rinunciato all’impugnazione limitatamente a tale disposizione e, il successivo 4 giugno, con nuova memoria, ha chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere, pur in assenza di accettazione della rinuncia. La Regione, a sua volta, in sede di udienza pubblica, ha dichiarato che nulla osta a questa definizione del giudizio.
8.− Si concorda su tale conclusione, ricordando che, come di recente affermato dalla Corte, in ipotesi di intervenuta abrogazione della disposizione impugnata, dopo l’instaurazione del giudizio, a fronte della rinuncia al ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, «[n]on essendo pervenuta da parte della Regione resistente l’accettazione della rinuncia, né risultando un suo interesse a coltivare il giudizio, si può dichiarare cessata la materia del contendere (sentenze n. 94 del 2018 e n. 19 del 2015, ordinanza n. 62 del 2015)» (sentenza n. 171 del 2019).
9.− Oggetto della terza questione è l’art. 79 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, il quale sostituisce il comma 1 dell’art. 23 della legge della Regione Lazio 3 novembre 2015, n. 14 (Interventi regionali in favore dei soggetti interessati dal sovraindebitamento o vittime di usura o di estorsione). La norma, prevedendo interventi regionali a favore delle vittime di estorsione, si porrebbe in contrasto con la disciplina statale di cui alla legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura) e alla legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura).
Il ricorrente ricorda che quest’ultima legge prevede, all’art. 14, comma 1, la concessione in favore delle vittime dell’usura di un mutuo senza interessi da restituire in rate decennali e che la legge n. 44 del 1999, all’art. l, stabilisce che «ai soggetti danneggiati da attività estorsive è elargita una somma di denaro a titolo di contributo al ristoro del danno patrimoniale subito, nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla presente legge». In particolare, poi, il comma 1-bis dell’art. 12 della legge n. 44 del 1999 dispone la non cumulabilità con precedenti risarcimenti o rimborsi a qualunque titolo da parte di altre amministrazioni pubbliche e il comma 2-bis del successivo art. 16 stabilisce la revoca totale o parziale dell’elargizione al sopravvenire di tale risarcimento o rimborso ovvero di un rimborso assicurativo.
A detta dell’Avvocatura, la disposizione gravata, «nel prevedere, genericamente, un distinto intervento regionale per il contrasto all’estorsione ed all’usura», creerebbe una duplicazione di benefici a ristoro del medesimo evento dannoso, ponendosi in contrasto con le ricordate norme statali – dirette a scongiurare ogni possibile sovrapposizione rispetto ad analoghi benefici eventualmente previsti dalle legislazioni regionali – e violerebbe pertanto il principio del buon andamento dell’azione amministrativa della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nonché l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza.
Sotto questo secondo profilo, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che le attribuzioni regionali devono necessariamente ricondursi alla realizzazione degli interventi già previsti quali, ad esempio, le azioni di sostegno psicologico, di assistenza e tutela in favore di vittime o potenziali vittime o attività sensibilizzazione sui temi in argomento.
10.− La questione va dichiarata inammissibile.
10.1.− La norma impugnata ha un contenuto di carattere esclusivamente finanziario: sostituisce l’art. 23 della legge della Regione Lazio 3 novembre 2015, n. 14 (Interventi regionali in favore dei soggetti interessati dal sovraindebitamento o vittime di usura o di estorsione), rubricato «Disposizioni finanziarie», e individua il Fondo destinato alla copertura degli oneri finanziari della medesima legge reg. Lazio n. 14 del 2015.
Va d’altra parte escluso che la scelta di impugnare l’art. 79 sia frutto di un mero errore materiale di indicazione della disposizione gravata, come tale ininfluente ai fini dell’ammissibilità delle questioni (ex multis, sentenza n. 225 del 2018).
Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, nella memoria depositata il 4 giugno 2020, ha dedotto la non fondatezza dell’eccezione di inammissibilità della Regione Lazio per la mancata contestuale impugnazione del precedente art. 78, ribadendo che oggetto di contestazione è proprio e solo il successivo art. 79 indicato nel ricorso; così rimarcando che non sono contestati gli interventi in favore delle vittime dell’estorsione previsti dalle norme regionali, in quanto rientranti nella competenza regionale, e che a risultare lesivo dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. sarebbe invece lo stanziamento di fondi con conseguente duplicazione degli interventi.
La tesi non è convincente.
La lesione denunciata – individuata dallo stesso ricorrente nella «duplicazione di benefici a ristoro del medesimo evento dannoso» e nella previsione di un «distinto intervento regionale per il contrasto all’estorsione e all’usura» – deriva in realtà dall’art. 78, quale disposizione sostanziale che estende alle vittime del reato di estorsione i benefici (economici) previsti a favore delle vittime dell’usura, e non dalla copertura finanziaria degli oneri derivanti da tale estensione.
10.2.− Ciò comporta l’inesatta identificazione della norma da censurare e, per costante giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 39 del 2020 e n. 241 del 2012), si deve pertanto concludere per l’inammissibilità della questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettera g), della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale);
2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, lettera e), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 79 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera h), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2020.